“Pensate: aver inventato il cavallo! Un animale così utile e così nobile! Noi non esitiamo a proclamare il Bolibine, un benemerito dell’umanità.” Così gli Accademici messi in scena da Achille Campanile acclamano un truffatore.
Fuor di commedia si ritiene che il cavallo sia stato addomesticato dai popoli indoeuropei che abitavano le steppe dell’Asia centrale nel II millennio a.C. e quindi introdotto e sfruttato anche nel bacino del Mediterraneo. Sumeri ed Egizi cominciarono a avvalersene per aumentare la propria efficacia bellica garantendo mobilità e manovrabilità degli uomini armati trainati da carri. Le prime testimonianze relative a truppe a cavallo riguardano gli eserciti babilonesi e assiri e probabilmente si trattava di unità fornite da alleati orientali presso i quali la cavalleria era consolidata e munita principalmente di archi. Da allora essa ricoprì un ruolo di rilievo sui campi da guerra come nella piramide sociale dei popoli antichi, presso i quali potersi permettere il mantenimento e l’equipaggiamento di un cavallo era segno di ricchezza e prestigio.
Nel corso dei secoli grandi condottieri furono ricordati per le argute strategie che riuscirono a mettere a punto sfruttando proprio la cavalleria, ma alcuni di essi si distinsero per la personale devozione che li legò ai propri fedeli destrieri.
Feroce e indomabile il cavallo Bucefalo (nome forse dovuto alla sua stazza, equiparabile a quella di un bue) che un mercante tessalo propose al re Filippo II di Macedonia, al quale l’oracolo di Delfi profetizzò che chi fosse riuscito a addomesticare quell’animale sarebbe stato suo successore e sovrano del mondo. Solo il giovanissimo figlio del re, Alessandro, osò scommettere sul proprio successo, conseguito con l’astuzia. Il giovane infatti si era accorto che a innervosire il cavallo erano i movimenti riflessi dalla sua ombra, quindi lo prese per le redini, lo fece rivolgere in direzione del sole e, ammansitolo con qualche carezza, lo montò e partì al galoppo affermando l’ardore di una forza di volontà che, non conoscendo limiti, lo portò ai confini del mondo abitato. E ad accompagnare Alessandro Magno in un ventennio di imprese fu proprio Bucefalo, quella creatura mostruosa che secondo le leggende medievali uccideva chiunque gli si avvicinasse, ma che si inginocchiò istintivamente davanti al futuro Conquistatore. Il sodalizio venne interrotto solo dalla morte del destriero causata dalla tarda età e dalle ferite riportate nell’ultima grande battaglia combattuta da Alessandro presso il fiume Idaspe (Punjab) contro l’esercito di Poro nel 326 a.C. Pianto il compagno e amico, prima di intraprendere la marcia verso casa, il sovrano fece erigere una città in suo onore presso il luogo del combattimento: Alessandria Bucefala, oggi Jhelum.
Campione delle corse con le bighe per la scuderia dei Verdi (una delle quattro che si conta per i giochi equestri all’inizio del I secolo) fu invece il cavallo ribattezzato Incitatus dall’imperatore Caligola, che a esso rivolse i propri favori. Passato alla storia come un folle, sembra che il terzo Augusto avesse sviluppato una vera e propria venerazione per la disciplina circense e per questo suo celebre rappresentante, per il quale faceva suonare il silenzio prima di una gara affinché nulla lo turbasse e a cui donò una stalla di marmo, preziosi paramenti e servitori personali. Caligola (che per altro avrebbe prelevato dal sarcofago di Alessandro Magno la sua corazza per fregiarsene durante alcune apparizioni pubbliche) oltre a compiacersi di far presenziare Incitatus al proprio desco, per esplicitare la propria irriverenza verso la classe senatoria, si propose di nominarlo console. A impedirglielo fu solo la congiura che nel 41 mise prematuramente fine al suo impero.
Infine, parlando di cavalli illustri e amati, non ci si può astenere dal rispondere all’eterno quesito: di che colore era il cavallo bianco di Napoleone? Ebbene, era grigio. Venne importato in Francia dall’Egitto nel 1799, dopo la vittoria nella baia di Abukir, per arricchire la scuderia personale di Bonaparte con un esemplare arabo, razza prediletta dal generale per il carattere docile e affidabile nonché per la stazza modesta, che lo rendeva agile e facile da condurre. Napoleone lo elesse così a suo fidato destriero e se ne servì in numerose campagne militari, a partire dalla grande vittoria del 1800 a Marengo, in nome della quale fu ribattezzato il cavallo. Come Bucefalo, Marengo accompagnò il suo cavaliere nell’ultima battaglia e lì venne ferito; tuttavia esso sopravvisse alla disfatta di Waterloo e venne condotto in Inghilterra. Morto dopo una pacifica vecchiaia, il suo scheletro fu donato al National Army Museum di Chelsea per celebrare il mito di un personaggio storico che lui stesso contribuì a creare.
FONTI Plutarco, Le vite parallele, Vita di Alessandro Svetonio, Vita dei Cesari, IV