Il prossimo 23 maggio uscirà nelle sale italiane Solo: A Star Wars Story, secondo spin-off estrapolato dalla saga galattica più famosa di tutti i tempi e diretto dal veterano Ron Howard. Dopo il successo ottenuto dal predecessore Rogue One, anche la pellicola dedicata alla genesi dell’iconico Han Solo promette molto bene. Nonostante sia presto per affermarlo, questa nuova ondata di film di ‘seconda mano’ sembra star surclassando la pretestuosità della nuova trilogia di Star Wars, risultando ampiamente superiore rispetto ad essa. Lecito chiedersi a questo punto cosa renda il sub prodotto migliore del prodotto stesso.
Quando il primo Guerre Stellari uscì nel 1977, fu una ventata di aria fresca e innovazione. Il cinema si inchinò di fronte alla potenza visiva di innovativi effetti speciali e all’originalità con la quale George Lucas raccontava una storia di per sé vista e rivista. Nel 2015, con l’avvento della nuova trilogia, questa magia è andata persa a scapito di una fasulla spettacolarità che furbescamente riesce ad inchiodare ai suoi piedi ogni tipo di spettatore, giovane o anziano.
Gli episodi VII e VIII non hanno fatto altro che riproporre la stessa storia mascherando la bassezza qualitativa del loro prodotto attraverso virtuosismi registici degni di nota e un uso massiccio di effetti speciali decorosi. Rogue One ha riportato in auge la potenza e la genuinità del passato, osando e rischiando laddove i già citati VII e VIII non hanno saputo o voluto fare, troppo impegnati ad aumentare i loro introiti nella peggior maniera possibile. Il rischio è stato proporre un’idea che che si staccasse dalla concezione originale dell’opera – un soggetto e dei personaggi nuovi e un approccio cinematografico completamente slegato dai film della saga – ma che non tradisse lo spirito avventuroso che contraddistingue Star Wars.
A differenza degli altri film, Rogue One è infarcito di una vena politica mai vista prima nella quale la metodica distinzione tra bene e male non sempre appare cosi chiara e definita. La verve comica è ridotta quasi all’osso in favore di toni più drammatici e cupi che rimandano alla seriosità de L’Impero Colpisce Ancora. Inoltre, il finale è quanto di più struggente e inaspettato possa succedere in un film ambientato nell’universo di Star Wars.
A differenza della nuova trilogia, lo spin-off rimane ancorato ad un’ottica prettamente cinematografica nella quale la qualità e la buona riuscita del prodotto appaiono più importanti di tutto il resto. Star Wars VII e VIII hanno avuto la presunzione di dover imperativamente essere dei grandi film ancora prima della loro uscita e hanno peccato nel pretestuoso tentativo di propugnare qualcosa che potesse andare oltre le loro effettive prossibilità. Rogue One non ha preso parte al gioco concentrandosi sulla materia filmica, sulle sequenza a impatto, sul voler raccontare una semplice storia che fosse in grado di catturare grazie alla potenza dei suoi contenuti e che non avesse l’ardire di considerarsi importante ancor prima di partire. Un’impresa non da poco che il regista Gareth Edwards è riuscito magnificamente a portare a termine. Rogue One è una bellissima storia di avventura, infarcita di venature western dove l’azione prende sempre più piede fino a sfociare in un epico war movie, in cui il regista dà prova di tutto il suo talento.
Originalità, audacia e passione sono gli ingredienti segreti che rendono queste pellicole memorabili (ci si augura che le avventure di Han Solo rendano giustizia), differenziandole qualitativamente dal prodotto originale. Caso più unico che raro che dimostra come si possa fare del buon cinema di intrattenimento dai nobili contenuti.