Herbert Marcuse e l’immaginazione al potere

Tecnologia e immaginazione: un binomio che può suscitare un’idea e un concetto di contrasto o antagonismo tra due ambiti apparentemente opposti come la razionalità, il pensiero scientifico e la creatività artistica, la fantasia, entrambi espressioni caratteristiche delle facoltà umane. Riprendendo le visioni utopiche di un importante e quasi dimenticato filosofo del ʼ900 come Herbert Marcuse, possiamo prendere spunti per riconsiderare oggi alcuni aspetti dell’attualità del suo pensiero e della sua concezione di immaginazione. Egli fece appunto dell’immaginazione la sua bandiera rivoluzionaria, che riuscì a svettare sulle barricate dei movimenti studenteschi del ʼ68 nella sua espressione più simbolica de “l’immaginazione al potere”.

Marcuse partiva dalla sua visione contemporanea e critica di una immaginazione ormai appiattita dalla tecnologia sulla sola dimensione produttiva del profitto e del consumo. Nel suo saggio del 1964 “L’uomo a una dimensione” espone infatti il suo concetto di unidimensionalità. Una tesi che prende le mosse dalla critica della società capitalistica occidentale e di quella socialista sovietica e in cui viene rappresentato il declino della libertà individuale e sociale dell’uomo contemporaneo. È da questa analisi sociale che Marcuse evidenzia la scomparsa di una intera dimensione come la perduta capacità dell’uomo di individuare il carattere dualistico, dialettico e antagonistico nei confronti del sistema sociale. Liberare l’immaginazione significa invece, per Marcuse, concederle tutti i suoi mezzi di espressione che possano esaltare la capacità libera della mente dell’uomo di immaginare con la propria logica e coscienza. Occorre quindi liberarla dal ruolo di strumento di controllo e potere, abusato dal progresso tecnologico, che tende a far coincidere l’immaginazione nella sola dimensione materialistica. È necessario, di conseguenza, contrastare la creazione di bisogni non autentici e l’uso di modelli di riferimento consumistici che inducono al solo sviluppo del profitto, in una società sempre più ingabbiata da un sistema economico dominato “dall’ansia di prestazione“.

Marcuse, anche attraverso la rilettura di Freud, individua nel principio di piacere, insito nella natura dell’uomo, la fonte della vera liberazione dell’immaginazione come componente primaria della libido e dell’eros. Non si tratta infatti di una liberazione puramente sessuale, come potrebbe essere interpretata riduttivamente sotto un aspetto esclusivamente psicoanalitico, ma di una vera rivoluzione della sensibilità umana. Tale riscoperta e liberazione dell’eros, attraverso l’immaginazione, può esprimere il progetto di far riemergere una dimensione estetica, creativa, di bellezza e piacere in cui è percepita la vera essenza e natura dell’uomo. Nel suo libro “Eros e Civiltà Marcuse formula su queste basi il suo progetto utopico di liberazione che attraverso una tecnologia positiva, indirizzata a nuovi scopi, può ridare all’uomo lo spazio, il tempo e l’energia togliendola al lavoro oppressivo che può essere svolto dalle macchine. Una rivoluzione del tempo libero oggi ancora più concretamente possibile da parte della robotica e della cibernetica. Tale disponibilità di tempo ed energia creativa, anziché aumentare esponenzialmente la ricchezza nelle mani di pochi gruppi e uomini di potere, potrebbe essere redistribuita nel valore e nella libertà di realizzare i veri bisogni e desideri creativi tesi a un modello che Marcuse definisce di “Società come opera d’arte”.

Ma quanti di noi oggi intravedono ancora questa possibile utopia? Marcuse riteneva che l’utopia non fosse una immaginazione negativa di sogno irrealizzabile ma, come si espresse nel 1967 nel suo saggio “La fine dell’utopia”, riteneva possibile dare all’immaginazione la sua forza scientifica e razionale di realizzazione. Una forza, tuttavia, che non poteva che prescindere da una nuova sensibilità spinta a nuovi bisogni e a una nuova razionalità in grado di contrastare la repressione e le resistenze al modello consumistico e illiberale dei sistemi tecnologici avanzati. È appunto con l’immaginazione artistica e libidica che questa forza di cambiamento e liberazione può trovare la sua identità rivoluzionaria di ricostruzione della realtà.

Con la stessa visione e la stessa determinazione di Marcuse, può essere oggi concepita una dimensione dell’immaginazione che possa condurre alla liberazione da un sistema sempre più oppressivo nella proposizione dei suoi valori? Potremmo superare le spinte all’omologazione, all’uniformità di una servitù volontaria al nostro sistema accomodante, a volte confortevole e illusoriamente democratico che di fronte a queste tesi di alternativa ci induce a farci sorridere? Potremmo avere, al contrario, la forza di sostenere una simile proposta oltre il ridicolo e la sarcastica reazione che la realtà sociale in cui siamo immersi è capace di farci suscitare? Marcuse ne era profondamente convinto e ha avuto il coraggio di crederlo fermamente come filosofo e pensatore. Egli, tuttavia, ci ha lasciato senza soluzioni pratiche da applicare ma solo con una visione di realizzabilità, forse ancora attuale, nella sua immagine di società libera. Una visione sufficientemente forte da far nuovamente riflettere anche le nuove generazioni sulla reale possibilità di una trasformazione culturale che oltre ogni ideologia tenda a una possibile alternativa sociale aperta alle nuove e antiche esigenze di libertà.

 


 

FONTI

Eros e civiltà, trad. it. di L. Bassi, Einaudi, Torino, 2017 (1955).

La fine dell’utopia, trad. it. di S. Vertone, Laterza, Bari Roma, 1968, (1967).

 L’uomo a una dimensione, trad. di L. Gallino e T. Giani Gallino, Einaudi, Torino, 2016 (1964).

CREDITS

Immagine di copertina:

Immagini 1 e 2 di Costante Mariani

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