Una questione linguistica è sempre, quasi per definizione, spinosa. In realtà non per definizione, se diamo a questo termine un significato etimologico; tuttavia, per chi si è trovato a fare i conti con le parole allora sì, la linguistica è spinosa per definizione.
Con questo non vogliamo necessariamente dire che il nostro articolo sarà spinoso, anzi. La materia trattata lo è, non le parole che la raccontano. Storia della lingua italiana è, insieme a Linguistica generale, uno dei primi esami che uno studente di lettere è tenuto a sostenere. Si tratta di due argomenti tutto sommato simili; l’unica differenza consiste nel tempo: il primo è diacronico, il secondo sincronico.
Cioè. Il primo studia il modo in cui la lingua cambia nel tempo, i fenomeni che hanno modificato le parole che usiamo oggi, mentre il secondo studia la lingua hic et nunc, senza preoccuparsi troppo di quello che c’è dietro. Un esempio.
Nella parola BONU(M), uno storico della lingua farebbe notare ai suoi studenti il dittongamento toscano, cioè il dittongo originato da una “o” tonica in posizione di sillaba libera, ossia di sillaba terminante per vocale. Questo perché ciò che gli interessa è che il nesso -o, a un certo punto, non venga più letto come tale ma venga allungato. Gli interessa capire quando, come, i motivi di questo cambiamento: più in generale, la loro storia.
A un linguista, invece, non importano i cambiamenti, i motivi per cui a un certo punto i parlanti abbiano iniziato a dittongare le -o toniche in sillaba libera; a lui interessa spiegare i suoni delle singole lettere, vocali -aperte o chiuse- e consonanti -labiali e nasali, in questo caso-.
Detto questo, arriviamo alla questione spinosa. Qualsiasi linguista -storico e non- dirà sempre che la lingua si evolve nella direzione di maggiore semplicità. In sostanza, nel corso degli anni, dei secoli, diventa più semplice. Il motivo di questo fenomeno non va cercato nell’ignoranza -ormai diffusa- ma piuttosto nell’indole umana. Ognuno di noi percorre, naturalmente, la strada più semplice; nessuno si complica volontariamente la vita. O meglio, la vita forse sì, ma il linguaggio certamente no. Ogni fenomeno linguistico è vòlto alla semplificazione (“gioco” invece di “giuoco”, ad esempio). Questo perché i nessi linguistici -non la lingua, attenzione- non sono stati creati a tavolino da un gruppo di accademici, ma sono nati dal popolo, dai parlanti. Un tempo alcune delle parole che noi oggi pronunciamo venivano considerate incolte perché non rispecchiavano i canoni ritenuti aulici; oggi, dire “giuoco” è assolutamente anacronistico, e anche un po’ ridicolo.
Eppure, un tempo il linguaggio era quello. Le parole, i termini, le consonanti, le lettere. La lingua si evolve e, naturalmente, si semplifica. Cambia, si trasforma, diventa sempre più dinamica e ricettiva nei confronti degli stimoli esterni.
Eppure, chi oggi non utilizza i congiuntivi è ritenuto un ignorante.
Ora, per quanto vorremmo sostenere questa ipotesi e rivendicare la purezza della meravigliosa Grammatica, purtroppo definire “incolto” chi non usa più i congiuntivi, in un’ottica linguistica, può essere limitante. E noi siamo d’accordo su tutto: sono belli, musicali, armonici, rendono la frase morbida e piena. Però, se il popolo ha deciso che ormai sono anacronistici, dobbiamo abituarci all’idea di non usarli più: la lingua è immortale, noi no. Per questo -e molto altro- decide lei.
Sia chiaro, non stiamo spingendo i nostri lettori ad abbandonare i congiuntivi nell’immediato: oggi, per fortuna, sono ancora ampiamente utilizzati. Quello che vogliamo sottolineare è semplicemente una tendenza che abbiamo notato di fronte alla quale, purtroppo, non possiamo far altro che tacere. Perché cercare di salvaguardare un fenomeno che il popolo ha deciso di abbattere è assolutamente inutile; nessuno utilizza più il termine “favellare”, eppure Dante vi era particolarmente affezionato. E sinceramente, nonostante l’enorme stima che nutriamo nei confronti di tutti i parlanti, dal primo all’ultimo, non ce la sentiamo di paragonare il primo avvocato della grammatica alla prima delle Tre Corone-e sul fatto che sia la prima, che rimanga tra noi-.
Sulla scomparsa dei congiuntivi, per adesso, è tutto quello che possiamo dire. Il tempo ci darà ragione, o forse no. Non possiamo sapere se rimarranno intatti o se verranno surclassati dal più semplice -e anche più triste- imperfetto. Quello che possiamo dire, però, è di non mettersi contro il flusso linguistico; davvero, non è per sostenere l’ignoranza, è unicamente per riflettere su un argomento, a nostro parere, ancora pieno di pregiudizi. In una prospettiva sicuramente sincronica, ma anche -e soprattutto- diacronica.
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