«In verità io ho sempre negato di essere un collezionista». È la penna di Bernard Berenson stesso a sancire il rifiuto per un’etichetta che comunemente viene attribuita al critico lituano, naturalizzato statunitense. Lo fa all’interno di Abbozzo per un autoritratto, momento di riflessione e introspezione, testo in cui indaga le ragioni del suo allontanamento dalla vita intellettuale. Dichiara in tale sede di sentirsi estraneo ad una simile attività, distante anche dalle comuni motivazioni che inducono alla pratica collezionistica. Prestando fede alle parole di Elisabetta Nicky Mariano, segretaria di Berenson dal 1917, direttrice della Villa I Tatti dal 1945 fino al 1959:
Berenson non è un vero collezionista, non condivide la passione dominante dei suoi colleghi. L’oggetto da lui apprezzato, scelto e collocato al suo posto, acquista un valore quasi sentimentale, forse connesso al come e al dove lo ha scoperto. Allora, cosa è Berenson? Un amatore e, allo stesso tempo, un conservatore che non ammette si disturbi l’armonia, una volta creata, per seguire un capriccio o fanciullesco desiderio di novità.
Villa I Tatti, la proprietà che Berenson condivide con la moglie Mary a Firenze, dunque, diventa l’emblema di un percorso intellettuale, la sintesi di una vita, di un gusto personale, di conoscenze, interessi e molteplicità di un individuo. È un collezionare ricordi, momenti, situazioni, non solo elementi iconografici. La poliedricità del critico, tuttavia, permette di estendere la riflessione a diversi settori.
Il nucleo collezionistico di Bernard e Mary Berenson comprende ad esempio la Fototeca, un archivio fotografico utile nel documentare i loro vasti interessi. La Fototeca è parte della più ampia Biblioteca Berenson. Questa è il fulcro della Villa ed ha grande importanza per lo storico dell’arte. «Una biblioteca dove uno studioso del nostro mondo possa trovare ogni libro essenziale a sua disposizione. Avevo sperato di lasciarla a degli studiosi americani per contribuire al loro sviluppo». È un’idea che risalta tra le annotazioni nei diari degli ultimi anni di vita di Berenson; l’estratto sopra citato nello specifico è riconducibile all’11 marzo 1948. Il progetto gli sta molto a cuore, torna più volte sull’argomento, si prodiga per ottenere fondi da destinare ad esso. Soprattutto negli anni ’30 del Novecento impiega le sue energie per concretizzarlo quanto più possibile e renderlo un lascito significativo. Già nel 1936 le volontà testamentarie di Berenson prevedono che la biblioteca, congiuntamente con il resto della collezione e dell’abitazione, sia destinata alla Harvard University.
È nel 1960, l’anno successivo la sua morte, che ufficialmente e formalmente il progetto prende forma con l’istituzione dell’Harvard University Center for Italian Renaissance Studies. Grazie a questa iniziativa vengono elargite borse di studio per permettere la ricerca e l’approfondimento a fellows dediti a studi di carattere interdisciplinare che, pur mantenendo al centro il Rinascimento Italiano, rivolgano il loro sguardo alla storia dell’arte, alla letteratura, alla filosofia o alla scienza. Il centro, attualmente diretto da Alina Payne, rispetta così i desideri del proprietario di Villa I Tatti e si caratterizza come polo di riferimento per gli studiosi. In accordo con l’ottica conservatrice di Berenson, già presentata attraverso le parole di Nicky Mariano, si è preservata la disposizione delle opere d’arte; la biblioteca, invece, si configura come un cantiere in continuo accrescimento. Dai primi anni ’60, infatti, vi è stato un costante incremento libresco, che in un primo momento si è rivolto esclusivamente al panorama italiano, spaziando dal 1200 al 1650, secondo una visione estesa di “Rinascimento”. Tale attenzione al particolare diverge in qualche modo dalla linea eclettica berensoniana, linea recuperata in tempi più recenti con una politica di acquisizioni polimorfa.
Rivive così la possibilità di accesso ad un sapere variegato, orientato dalle passioni del singolo e composito di scienze differenti. Attraverso la sua biblioteca emerge la caleidoscopica figura di Berenson, i testi chiave della sua formazione e, soprattutto, l’ampiezza degli interessi. Come riporta Rachel Cohen nello scrivere la biografia di tale personaggio, emblematica è la frase di un allievo di Berenson, John Walker: «La biblioteca è la sua fortezza, ed è pervasa dal fumo della battaglia che infuria al di fuori». È la risposta a quell’intellettuale che in Abbozzo per un autoritratto si sentiva isolato, che si rivela come trincerato tra i suoi libri. Per quanto riguarda l’argomento in analisi si può notare non solo la coniugazione di un collezionismo di matrice figurativa ed uno di stampo letterario; ma anche cogliere l’occasione per poter analizzare come le sue letture abbiano influenzato il metodo collezionistico o ne siano il riflesso.
CREDITS
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FONTI
Bernard Berenson, Abbozzo per un autoritratto, Firenze, Electa, 1949.
Russoli Franco, a cura di, La raccolta Berenson, con presentazione di Nicky Mariano, Milano, Officine Grafiche Ricordi, 1962.
Bernard Berenson, Tramonto e crepuscolo; ultimi diari, 1947-58, Milano, Feltrinelli, 1966.
Rachel Cohen, Bernard Berenson. Da Boston a Firenze, Milano, Adelphi, 2016.
Bernard Berenson, One Year’s Reading for Fun, introduzione di John Walker, 1959.