Sento la dolce melodia di un uccellino mattiniero penetrare attraverso le persiane chiuse. La luce del sole, quella ancora no, la stella che ci illumina non ha ancora fatto capolino per darci definitivamente il buon giorno. Ma per me il giorno deve cominciare. La sveglia non è ancora suonata, ma l’uccellino che continua a cantare allegro e che ha ormai definitivamente interrotto il mio sonno, sembra volermi ricordare insistentemente che tra pochi minuti lo farà. Trovo la forza di accendere l’abat-jour sul comodino e guardo l’ora: le 5:02.
Come immaginavo, tra ventotto minuti dovrò abbandonare le confortevoli coperte e gettarmi nella fresca aria mattutina della prima metà di Aprile. La mia mente ne è consapevole, il mio corpo un po’ meno, e mi convince ad abbandonarmi a una piacevole dormiveglia, nella quale si fanno caoticamente spazio immagini di prelievi, punture, flebo e letti di ospedale. Passati quei ventotto minuti, che mi sono sembrati effettivamente non più di cinque, il martellante “drin drin” della sveglia accompagna la soave melodia dell’uccellino, che non ha mai smesso di canticchiare.
“Ok”, penso, “ora devo alzarmi”. Con la pesantezza lasciatami da poche ore di sonno, abbasso la sveglia, che, con grande gioia dei miei timpani, smette di suonare. Scivolo fuori dalle coperte e accendo la luce, con gli occhi socchiusi, ancora infastiditi dall’improvvisa illuminazione dopo il buio confortante di quelle poche, ma tutto sommato rigeneranti, ore di sonno. Prendo i vestiti che ho lasciato sulla sedia la sera prima, per non perdere tempo la mattina a cercarli. Non che faccia molta differenza cosa indosso, dato che metterò il sopra abito prima di uscire e, una volta arrivata a destinazione, indosserò quella squallida casacca abbinata a quei pantaloni senza forma che tengo ripiegati in maniera non proprio ordinata nel mio borsone lilla. A proposito, dov’è il borsone? Devo averlo lasciato in macchina ieri quando sono rientrata. Almeno spero. Indosso un paio di vecchi jeans, una maglietta e un giacchetto di cotone. Metto calzini e scarpe. Non so perché mi ostini a mettere le scarpe con il tacco, visto che dovrò togliere anche quelle per sostituirle con un paio di zoccoli bianchi e decisamente non molto sexy. Cose di donne. Mi lavo svogliatamente il viso e i denti. Il sapore frizzante e leggermente pungente del dentifricio contribuisce a risvegliarmi, insieme agli zampilli di acqua fresca sul viso. Gli occhi si sono finalmente abituati alla luce (quella artificiale, il sole lo sto ancora aspettando) e vedo nitidamente la mia immagine riflessa nello specchio. Non posso far altro che pensare “mio Dio, sono orribile”. Il mio viso è particolarmente pallido, un po’ scavato, gli occhi sono incorniciati da occhiaie abbastanza visibili, i capelli castani arruffati completano il quadro. Le labbra carnose hanno evidentemente bisogno di un po’ di burro cacao e le ciglia reclamano una generosa dose di mascara.Un po’ di trucco migliorerebbe sicuramente il colorito spento e le borse sotto gli occhi, che sembrano stranamente rimpiccioliti in quest’ultimo mese. Forse la grandezza degli occhi è direttamente proporzionale alle ore di sonno? Mi ritrovo a chiedermi per l’ennesima volta perché mai vogliano impedirci di truccarci distruggendo la nostra femminilità. Non è sufficiente indossare quella sottospecie di tunica? Comunque, non penso che noteranno un po’ di fard e un leggero tocco di mascara, quindi procedo. La situazione non è migliorata moltissimo, ma sempre meglio di prima è, e poi rischio che si faccia tardi. Di accessori, neanche a parlarne. A detta degli esperti trattengono i batteri come le ragnatele trattengono gli insetti. Controllo l’orologio del cellulare: le 5:48. Ho solo circa dieci minuti per sistemarmi i capelli, che devono essere rigorosamente legati, e mangiare al volo qualcosa che faccia salire un po’ la mia glicemia, per evitare di svenire come il primo giorno. Cerco svogliatamente un elastico e raccolgo i capelli in un’arrangiata e per nulla elegante coda di cavallo. Facendo tutto nel maggior silenzio possibile per non svegliare il resto della casa, che si culla ancora in dolci sogni sotto le coperte, ignara che tra qualche minuto anche il suo riposo verrà interrotto da una fastidiosa sveglia, scendo le scale e arrivo in salotto. “Accidenti, perché mi dimentico sempre qualcosa?”. Torno di sopra, entro nella mia camera, apro le persiane che danno sul balcone e riempio una ciotola di metallo con i croccantini. La confezione recita: alimento completo per gatti sterilizzati, favorisce la salute delle vie urinarie… e una serie di altre informazioni in piccolo per le quali, alle sei del mattino, mi necessiterebbe una lente di ingrandimento. Una bianca palla di pelo dagli occhi azzurri mi guarda con riconoscimento. Poi fa uno strano miagolio che sembra volermi dire: ”che cosa fai, non vedi che è ancora buio?”. L’altro gatto, invece, non si degna neanche di rivolgermi lo sguardo, preferisce rimanere acciambellato nella cesta di vimini. Scendo nuovamente in salotto. Da lì passo in cucina e trangugio un paio di biscotti secchi senza particolare interesse. Inserisco la chiave nella toppa del portone di casa e la giro finché la porta non si apre. Sono solo le 6:01 e la mia giornata è già iniziata da trentuno minuti. Il profumo! Quello avrei potuto indossarlo, almeno credo, e l’ho dimenticato. “Pazienza”, mi dico, “inutile sprecare tre spruzzi di Dior con la consapevolezza che verrebbe in poche ore annientato dal tetro odore del disinfettante ospedaliero”.
Mi lascio alle spalle il portone e il calore della casa per affrontare il gelido caos della città romana.
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