Alla fine Donald Trump, come aveva promesso sul suo profilo Twitter, ha davvero bombardato alcune postazioni strategiche dell’esercito siriano in risposta al supposto attacco chimico di Douma. L’azione militare del 14 Aprile (a dire il vero abbastanza modesta, essendosi limitata calcolatamente a colpire senza vittime, né civili né militari, alcuni depositi governativi sospettati di ospitare riserve di armi chimiche) è stata presentata come la necessaria risposta al superamento della cosiddetta “linea rossa” nella guerra in Siria: l’uso di armi chimiche da parte del regime di Assad. Di questa “linea rossa” però non è la prima volta che se ne parla, così come non è la prima volta che si assiste ad attacchi militari da parte di coalizioni occidentali in risposta a sbandierati attacchi con armi chimiche.
Esattamente un anno fa, il 7 Aprile 2017, il copione era stato praticamente identico ad adesso. Rileggendo i giornali di quei giorni si farebbe fatica a capire se ci si sta riferendo all’attacco di quest’anno o a quello dell’anno precedente, a tal punto la narrazione è sorprendentemente sempre uguale. Prendiamo questo titolo de La Repubblica:
Siria, 59 missili Usa contro base aerea dei raid chimici. Casa Bianca: “Un segnale al resto del mondo”. Ira di Putin A quale anno si riferisce?
Non è poi tanto diverso rispetto a quello de Il Tempo di pochi giorni fa:
Usa, Gb e Francia attaccano la Siria. Colpite fabbriche di armi chimiche. Lanciati più di 100 missili Tomahawk. La Russia: “Ci saranno conseguenze per Washington, Londra e Parigi”
Anche a leggere gli articoli si troverebbero interi paragrafi che presentano un’evidente narrazione identica. L’Aprile dell’anno scorso leggevamo:
Attacco degli Stati Uniti in Siria. Nella notte, alle ore 2.45 ora italiana, 59 missili cruise sono stati lanciati da due navi americane di stanza nel Mediterraneo. Hanno colpito la base siriana di al-Shayrat, vicino a Homs, da cui si presume sia partito l’attacco con armi chimiche nella provincia di Idlib che ha provocato nei giorni scorsi 86 morti, di cui 30 bambini. Nella giornata di ieri il presidente Usa Donald Trump aveva annunciato di stare valutando un’azione militare nel Paese. «Ho ordinato un raid mirato», ha detto Trump in una dichiarazione. Gli Stati Uniti, ha detto, devono «prevenire la diffusione e l’uso di armi chimiche». La risposta di Mosca non si è fatta attendere. «La Russia prima di tutto chiederà una riunione urgente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Questo può essere considerato come un atto di aggressione da parte degli Stati Uniti contro uno Stato dell’Onu», ha detto ai media russi Viktor Ozerov, presidente del comitato di Difesa e sicurezza del Consiglio federale (Parlamento) russo.
In questi giorni i giornali hanno scritto praticamente lo stesso:
Stati Uniti, Francia e Regno Unito hanno lanciato all’alba attacchi coordinati in Siria contro il regime di Bashar al Assad, una settimana dopo il presunto attacco con armi chimiche nella città siriana di Douma, in cui sono morte un centinaio di persone. “Il nostro obiettivo è distruggere le capacità di lanciare armi chimiche del regime siriano”, ha annunciato il presidente americano Donald Trump in diretta televisiva. Mosca, condannando con forza l’attacco, ha annunciato di voler convocare una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Secondo il presidente Vladimir Putin infatti i raid occidentali sono stati condotti “senza l’avallo del Consiglio di sicurezza dell’Onu, in violazione della Carta delle Nazioni Uniti, delle norme e dei principi del diritto internazionale” e costituiscono “un atto di aggressione contro uno Stato sovrano che si trova in prima fila nella lotta al terrorismo”.
È un problema di narrazione o è la guerra che è sempre la stessa? O magari la guerra è sempre la stessa perché la si continua a raccontare sempre allo stesso modo, usando certi cliché per giustificare le proprie azioni, da una parte e dall’altra? Il dovere di raccontare e le modalità di narrazione non sono mai neutre, e su questo dovrebbe riflettere maggiormente il mondo giornalistico occidentale. Il giornalismo ha urgente bisogno di trovarsi in quelle situazioni paradossali dei romanzi metaletterari, in cui i personaggi diventano autori e gli autori personaggi, per riflettere con maggiore consapevolezza sulla natura e le finalità del proprio agire.