Mentre la guerra in Siria non cessa di riservare colpi di scena, con le minacce che reciprocamente USA e Russia si lanciano in merito ai presunti attacchi con armi chimiche sferrati dall’esercito del presidente siriano, fedele alleato della Russia, sembra ormai essere uscito completamente di scena uno dei principali attori di questa guerra: l’ISIS. Eppure uno dei principali motivi che aveva spinto entrambe le potenze mondiali a intervenire nello scenario siriano era stato proprio l’instaurarsi in Siria di un pericoloso califfato, che ambiva a dare una forma statuale ai peggiori deliri del terrorismo islamico.
Oggi il territorio che è controllato dalle milizie dello Stato Islamico si riduce a poche, e malmesse, enclave isolate nel territorio della Siria. Al momento del suo maggiore splendore però l’ISIS occupava uno spazio che includeva gran parte della Siria nord-orientale e ampie fette dell’Iraq occidentale: sembrava un contagio che minacciava di potersi estendere a tutto il Medio Oriente. Infatti, se improvvisamente è nato uno Stato da bande improvvisate di terroristi, non altrettanto celermente è arrivata la risposta delle legittime autorità minacciate dall’erosione di importanti fette del proprio territorio. Sia in Siria sia in Iraq casualmente queste bande jihadiste sono riuscite a dar vita al proprio Stato in territori estremamente ricchi di petrolio e cimeli archeologici, grazie a cui hanno costruito la propria fortuna: infatti hanno fatto proventi enormi con il mercato nero e la corruzione. Troppo poco si è riflettuto su come la collusione di ampi settori della popolazione civile e soprattutto degli organi statuali e militari ha reso possibile a questi criminali non solo di insediarsi stabilmente, ma anche di creare burocrazie parastatali e allestire veri e propri eserciti sponsorizzati da consorterie politiche locali ma anche da importanti potenze regionali come Arabia Saudita e Turchia, quest’ultima oltretutto membro dell’Alleanza Atlantica (la NATO): per questo la reazione è stata così tarda, lenta e sorprendentemente poco efficace. USA, Russia, Europa, Iraq e Arabia Saudita, cioè le principali potenze mondiali, hanno dato vita a una coalizione contro l’ISIS che ha impiegato anni a sbaragliare un esercito improvvisato. Alla fine l’autoproclamato Stato Islamico è stato sconfitto, ma restano le pesanti compromissioni, i tradimenti incrociati e soprattutto la piaga di armare bande locali, che ogni volta si dice siano ribelli moderati, ma che appena ne hanno l’occasione si rivelano per quello che sono: terroristi sanguinari.
È passato molto sotto silenzio in Occidente, dove la narrazione è sempre stata quella dell’oppressione e del martirio, ma l’ISIS ha mostrato una sorprendente capacità di attrazione: tantissimi giovani da tutto il mondo, tutt’altro che poveri disperati, anzi spesso laureati e (apparentemente) integrati nel mondo occidentale, hanno subìto il fascino della chiamata alle armi e sono partiti per combattere tra le file dello Stato Islamico. Ora che l’ISIS è stato sbaragliato non rimane soltanto da affrontare la pesante eredità di combattenti, vedove e figli dei terroristi, nonché le indelebili conseguenze delle loro malefatte su bambini, persone innocenti e vittime di azioni di guerra e terrorismo, ma soprattutto bisogna affrontare il dato culturale: perché lo Stato Islamico si è dimostrato così capace di intercettare il pubblico giovanile, oltretutto non solo (e forse non tanto) il mondo maschile, ma anche quello apparentemente più lontano dalle sirene islamiste, cioè, a sorpresa, tantissime donne, per la liberazione del quale l’Occidente si sente chiamato a una missione umanitaria?
Gli uomini passano, le idee restano: potrà sembrare audace, e forse un po’ inopportuno, accostare queste celebri parole di Giovanni Falcone a una mafia qual è il terrorismo islamico, ma è proprio su questo che autorità statali, servizi segreti, figure religiose e intellettuali dovrebbero riflettere. Non può bastare una limitata sconfitta militare per dire che l’ISIS è finito, perché resterà sempre tra noi se le cause che l’hanno originato, gli Stati che l’hanno protetto e finanziato, e gli ideali culturali che l’hanno reso attrattivo a milioni di persone restano impunemente tra noi, pronti a risorgere, come la fenice, dalle ceneri di un Medio Oriente sempre più devastato.