Il mio primo ricordo di Pablo Neruda porta i lineamenti di Philippe Noiret. E Philippe Noiret lo vedo bene solo come poeta cileno.
Ovviamente ho guardato il film“Il postino”. Avevo forse otto anni, o poco di più. Mio padre era un grande appassionato di Massimo Troisi, e io di mio padre. Guardavo con lui i film.
Sono passati gli anni e Pablo Neruda l’ho ritrovato nel volume di letteratura del liceo classico che frequentavo. Ma il mio Pablo Neruda è ancora un uomo un po’ robusto con una moglie molto bella, era Philippe Noiret.
Quella storia partiva da un senso di inquietudine. Non è forse l’inquietudine l’unico motore per tutte le storie?
Mario Ruoppolo (Massimo Troisi) abita un’isola non ben identificata del Sud. Unica qualità certa: la sua bellezza, piena, seducente, calda. Mario viene da una famiglia di pescatori, sono tutti pescatori su quell’isola. Ma a lui non va tanto giù questa storia. Allora, dato che sa “leggere e scrivere… senza correre però” diventa postino. Però, ecco, diventa postino in un paese di analfabeti. Ha un solo cliente, ma prestigioso: Pablo Neruda, poeta cileno esiliato.
Mario è un isolano ignorante, Pablo un uomo colto.
Il postino non nasconde la sua ammirazione per il poeta, e con lui e grazie lui scopre la politica, la poesia, scopre nelle metafore lo strumento per descrivere l’intero mondo.
Il poeta cileno, dal canto suo, impara ad apprezzare la genuinità e la spontaneità di Mario, aiutandolo a corteggiare Beatrice.
Gli eventi politici continuano il loro corso e Pablo può rientrare a casa. Lascia l’isola, ma soprattutto lascia Mario, che così non ha più nessuno a cui consegnare la posta e a cui chiedere versi poetici.
Ora, la cosa strana è che quando ho studiato Pablo Neruda sul libro, quando l’ho ascoltato dalla mia professoressa, non sentivo estranea la descrizione: ma al posto di Noiret i miei occhi continuavano a figurarsi Troisi.
Perché la sensibilità estranea ai sofismi e all’erudizione era propria di Neruda, quello vero.
Perché che quel paesaggio polveroso e irriverente, caldo e provocante del film richiama proprio gli spazi di Neruda, quello vero.
Perché che morire nel corso di una manifestazione comunista, in piazza, (come nel film muore Mario Ruoppolo) sembra l’esito di una battaglia che Neruda, quello vero, ha portato avanti per tutta la vita.
Ma d’altronde, Philippe Noiret -che ha prestato il viso al mio Neruda tanto a lungo lo insegna-: il mondo è una metafora del mondo, ogni cosa è metafora di qualcos’altro. E quel Sud non ben identificato è proprio una bella metafora.