Venerdì 11 marzo 2018 il giornalista di Repubblica Gino Castaldo ha presentato alla fiera Tempo di libri di Milano il suo ultimo libro Il romanzo della canzone italiana, edito Einaudi 2018. Nato a Roma nel 1950, egli nel corso della sua lunga carriera ha avuto occasione di conoscere le più importanti personalità nazionali ed internazionali del settore, divenendo un punto di riferimento per tutto il giornalismo musicale italiano. Ancora oggi, viene data primissima importanza ad ogni sua esternazione e questo libro può essere quasi visto come l’Ab Urbe Condita del suo repertorio. Nel corso di due interviste da parte di Gregorio Botta (anch’egli giornalista di Repubblica) e Luca De Gennaro, ne ha rivelato alcuni aneddoti.
Il romanzo si prefigge di raccontare, in maniera oggettiva e senza vena nostalgica, la società italiana dal secondo dopo guerra alla fine del secolo scorso, per mezzo di canzoni che hanno fatto la storia della musica italiana. Non esattamente un compito semplice. Il rischio di omettere qualche tassello fondamentale, o di dilungarsi troppo rispetto alle esigenze editoriali (ha dovuto infatti togliere cento pagine), era dietro l’angolo. La ragione che lo ha comunque spinto a lanciarsi in una simile sfida, è che questo libro “è la cosa più vicina a me”, racconta nell’intervista.
L’idea di partenza, la ragione per cui è stato scritto, è chiara: la storia che viene raccontata al suo interno, è del tutto terminata. Quel che è iniziato, grosso modo con l’inizio degli anni duemila, è qualcosa di diverso: ci sono molte più uscite, molte più canzoni, ma più deboli. A Tempo di Libri l’autore, con una semplificazione necessaria rispetto alla complessità del tema trattato, ha parlato dell’esistenza di cinque capitali della musica italiana: Napoli, Milano, Genova, Bologna e Roma.
La città partenopea ha inventato la canzone italiana, ancor prima che nascesse l’Italia. A Napoli esiste una colonna sonora a parte, rispetto a quel che viene mandato in radio nel resto della nazione: questo succede soltanto nel capoluogo campano. Lo stesso Lucio Dalla nutrì un amore duraturo e sincero per questa città, culminato nell’omaggio al grande autore Caruso.
A proposito di come fosse nata l’ispirazione al brano (in seguito a un guasto alla propria imbarcazione, il cantautore si trovò costretto a soggiornare in un albergo a Sorrento, proprio nella stanza che anni prima aveva ospitato il tenore Enrico Caruso, poco prima della morte. Qui i proprietari dell’albergo gli raccontarono degli ultimi giorni della vita del tenore e della sua passione per una giovane a cui dava lezioni di canto), Castaldo, suo grande amico, afferma: “Lucio era un genio, ma anche un grande paraculo”, facendo sorgere qualche dubbio sulla veridicità del racconto. Da notare anche come a questa celebre canzone, siamo nel 1986, si affiancò il primo video pop della storia italiana. Menzione d’onore anche per Pino Daniele, grande amico del giornalista.
Riguardo alla città meneghina, il grande fermento artistico che le diede slancio ebbe inizio negli anni sessanta con le Canzoni della Mala, uscito per la Ricordi, e con personaggi quali Dario Fo e Giorgio Strehler. Fin dall’inizio appariva evidente la commistione tra musica, surrealismo e teatro anche in esponenti come i Gufi, Cochi e Renato e Gaber e Jannacci, inizialmente coppia fissa col nome di Due Corsari (Trait d’union fu una comicità assoluta, raffinata e stralunata). A emergere sopra a tutti in questa moltitudine di talento, fu senz’altro Adriano Celentano.
Il critico musicale ha raccontato la vicenda di Pregherò, incredibile successo di Celentano, cover di una delle canzoni più famose al mondo, Stand by me di Ben E. King. Secondo la cronaca dell’epoca, il pezzo doveva essere interpretato da Ricky Gianco, co-autore insieme a Don Backy. Invece il molleggiato glielo scippò con non troppa eleganza: come se non bastasse, per placarne l’ira, fu assegnato all’autore Tu Vedrai, che non ebbe altrettanto successo.
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In merito a La Superba (così viene chiamata Genova da Petrarca nel 1358: “Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare“), si è parlato brevemente del suicidio di Tenco, mentre le maggiori attenzioni si poi sono rivolte all’attualità, in particolare alla fiction andata in onda il mese scorso su Rai 1 Principe Libero, dedicata a Fabrizio De André. A Castaldo, stretto amico del genovese, non è particolarmente piaciuta poiché “non esce il genio”, ma soltanto una persona problematica. Di Marinelli nei panni del cantautore, dice: “ha interpretato Marinelli nei panni di De André, piuttosto che direttamente il secondo”. Una delle particolarità di De André fu che fino al 1975, malgrado l’alta fama raggiunta, non si era mai esibito dal vivo. Da lì un’evidente goffaggine per tutti i primi anni, nonostante fosse pur sempre un gigante e un grande intellettuale: nel 1978 il tour con la PFM lo sbloccò.
Bologna e Roma sono state affrontate per mezzo del 1979, anno di Banana Republic (nome che ha origine da un’idea di Ennio Melis, direttore della RCA, che lo giustificò così: “è curioso e non si capisce cos’è”), tour che portò Lucio Dalla e Francesco De Gregori a girare l’Italia negli stadi. I due, prendendo spunto da Bob Dylan, portarono sul palco entrambe le loro band, in totale dieci persone. Una particolarità emersa dai video dell’epoca, racconta di come allora non fosse consentito assistere allo spettacolo dal prato: questo creava una ingombrante distanza tra artisti e pubblico. Solitamente, a fine spettacolo capitava però di assistere a un’invasione pacifica del campo da gioco da parte dei più appassionati sostenitori. In merito al cantautore romano, Castaldo ha svelato anche come Vecchi Amici del 1992, fu una non simpatica dedica proprio nei suoi confronti.
A dimostrare come non sempre il rapporto tra giornalista e cantante sia idilliaco. L’altra faccia di Bologna è quella di Francesco Guccini, in quello stesso periodo protagonista del terzo grande tour italiano, quello insieme ai Nomadi. I suoi concerti erano un’esperienza unica, molto raccontati e scanzonati, di cui recentemente è uscita una preziosa testimonianza sotto forma di Album live. In uno dei più famosi brani dell’anarchico d’origine modenese, egli cita Bertoncelli, collega di Castaldo: col senno di poi il secondo ritiene che al primo sia stata fatta solo della grande pubblicità, in un’epoca in cui non era per niente frequente fare nomi e cognomi in un testo musicale.
Castaldo ha voluto dare una propria lettura di un periodo storico determinante e irripetibile, che non può essere ignorato dalle nuove generazioni che si affacciano oggi alla musica. Quel che ascoltiamo e ci fa emozionare nel 2018, infatti, ha origini ben precise. Siamo di fronte a un taglio della realtà offerto comunque da chi ha vissuto in prima persona molte delle vicende descritte: un punto di vista privilegiato e autorevole, assolutamente interessante. Chiunque voglia conoscere e approfondire, per mezzo di un’analisi riflessiva e impegnata, e non tramite un disattento ascolto su Spotify, colmando così le proprie lacune, trova in questo lavoro un utile strumento.