Nella prima parte di questa analisi dell’album Storia di un impiegato di Fabrizio de Andrè (che potete leggere qui) abbiamo raccontato la vicenda di un impiegato che, ascoltando un canto del maggio francese (un canto dei giovani ribelli dei moti del ’68 in Francia), decide di intraprendere una lotta contro il potere. Purtroppo però sceglie una via sbagliata, individuale e da terrorista, che lo porta a mettersi in ridicolo con un attentato che invece di far saltare in aria il Parlamento, colpisce un chiosco di giornali. Ora riprendiamo con l’ascolto.
- Verranno a chiederti del nostro amore
L’impiegato è in carcere per l’attentato e vede in televisione la sua donna intervistata. Si rivolge a lei dicendole di non sminuire il loro amore con i giornalisti che non possono comprendere il loro rapporto. Entrambi si accettano e non si cambiano malgrado lui tradisca lei e lei sia nella loro relazione finta e convenzionale. Eppure in questo rapporto sono loro stessi, sono quindi liberi. Infatti non è stato uno di loro a cambiare l’altro, ma è stata la società a cambiarli: ora che lui è in carcere sono separati e lei normalizza la sua vita con un lavoro e una relazione più stabile ed equilibrata. Per questo l’impiegato le chiede di ritornare autonoma e libera: “continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai?”
- Nella mia ora di libertà
L’impiegato in carcere non esce per l’ora d’aria perché si rifiuta di respirare la stessa aria dei secondini. Prende consapevolezza dell’inesistenza di poteri buoni e per la prima volta partecipa a una rivolta insieme ad altri ribelli: insieme ad altri carcerati sequestra i secondini. La sua lotta non è più individuale, ma collettiva. Per questo ora può anche lui prendere parte al canto che aveva risvegliato il suo spirito ribelle all’inizio della sua storia.
“venite adesso alla prigione
state a sentire sulla porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un’altra volta
per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.
Per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.”
De Andrè ha affermato che in questo album per la prima volta si era dichiarato politicamente, anche se in maniera difficile e oscura. Sicuramente la difficoltà nella comprensione di questo album si trova soprattutto nelle contraddizioni e prese di posizione estreme. Il giornalista Enrico Deregibus ha infatti affermato:
“La vena anarchica di De André deve fondersi con quella marxista di Bentivoglio, e spesso i punti di sutura e di contraddizione sono fin troppo evidenti. Non a caso è l’ultimo episodio della collaborazione tra i due”.
Eppure, anche se la critica contemporanea ha stroncato questo album proprio per la sua oscurità, questo è stato negli ultimi tempi rivalutato. In fondo tratta del percorso interiore di un uomo che cerca di trovare la propria identità politica e quindi sono ammessi errori e contraddizioni. Se poi pensiamo alle idee politiche di De Andrè, talmente anarchico da giustificare i ladri:
“Che tracotanza devo avere per sentirmi buono e onesto e puro, e che razza di schifezza sarei sempre a rompere i coglioni al mio prossimo. Il mio prossimo è ladro, vende i bambini, impicca i fatti, tende trappole mortali a nemici sconosciuti per pochi denari”
non ci dovrebbe stupire la messa in scena di un personaggio, il nostro impiegato, che sogna di far saltare in aria tutti. Ma in fondo quello che si vuole proclamare in questo album non è tanto un’idea politica (lo stesso De Andrè non ebbe in realtà grande simpatia per il Sessantotto, né tantomeno per il terrorismo degli Anni di Piombo), ma piuttosto celebrare la ricerca della propria completa libertà.
“Continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai”