“Mio caro Theo,
finalmente ti mando un piccolo schizzo per darti almeno un’idea di come viene il lavoro. Perché oggi mi ci sono rimesso. Ho ancora gli occhi stanchi, ma intanto avevo una nuova idea nel cervello, ed eccone lo schizzo.”
Questo incipit con cui Vincent van Gogh (1853-1890) inizia una delle sue dense lettere indirizzate al fratello, è anche uno dei molti casi in cui il pittore realizza uno schizzo sul foglio fittamente scritto.
La lettera è in francese, lunga due pagine di testo più una terza occupata dallo schizzo in questione. Si tratta di La camera da letto di Vincent ad Arles (1888), opera cardine nella carriera di Van Gogh.
Per quanto importante, La camera da letto non è l’unico caso di schizzo disegnativo presente in una lettera.
Quella di inserire disegni e schizzi anche molto elaborati nel bel mezzo del testo o nell’ultima pagina di una lettera è infatti una pratica fortemente sentita dall’artista.
Van Gogh dedicava molta attenzione e molto tempo alla scrittura. Le sue lettere sono per la maggior parte indirizzate a Theo van Gogh (1857-1891), ma non esclusivamente.
La corrispondenza tra i due fratelli Van Gogh, iniziata nel 1872, ci è giunta praticamente integra, rendendola un vero e proprio tesoro, una fonte inesauribile di informazioni. Ed è un tesoro di quelli che rimangono nascosti. Al contrario dei quadri e della maggior parte dei disegni autonomi infatti, le copie originali delle lettere sono raramente esposte all’interno di mostre temporanee, dunque poco visibili al grande pubblico. I testi delle lettere sono stati pubblicati in molte edizioni e sono dunque facilmente reperibili, ma gli schizzi contenuti nelle lettere sono forse la parte meno conosciuta della celeberrima produzione di Van Gogh.
Vale la pena soffermarcisi, perché come le tele e i disegni, anche questi sono meravigliosi e interessanti.
Come è ben noto, Van Gogh era un lavoratore instancabile. Non smetteva davvero mai di dipingere e disegnare, nemmeno quando scriveva.
Ha realizzato più di 130 schizzi all’interno delle lettere. Non solo, ma ognuno di questi schizzi è estremamente dettagliato, curato, finito:
Il fatto poi che la sua corrispondenza con Theo sia stata conservata dalla famiglia e portata in salvo fino ai giorni nostri ci regala l’opportunità di sfogliare la sua vita e la sua evoluzione artistica. Grazie alle lettere che Van Gogh compilava quasi tutti i giorni abbiamo la possibilità non solo di avere un’idea di cosa pensasse l’artista, di quali paure lo affliggessero e quali gioie lo sollevassero, ma abbiamo inoltre la possibilità di osservare da vicino lo sviluppo –velocissimo,- della sua mano, del suo tratto.
Van Gogh iniziò a disegnare nel 1881, a ventotto anni. Un artista a quell’età si era solitamente già completamente sviluppato, aveva trovato il proprio stile, aveva fallito e poi avuto successo arrivando ad essere un pittore fatto e finito. Van Gogh invece iniziò praticamente da zero. Partì da tratti duri, da corpi con proporzioni fantasiose, e arrivò in pochi anni a creare i capolavori che tutti noi conosciamo.
Le lettere e gli schizzi ci mostrano questo sviluppo velocissimo. E lo fanno ancora meglio dei disegni autonomi, perché se nei disegni l’artista utilizza carboncino e grafite, nelle lettere usa lo stesso strumento con cui scrive: penna e china. Questo permette di avere una visione molto chiara della sicurezza o insicurezza del suo tratto, della morbidezza della sua mano e del processo di costruzione di un soggetto.
Si può osservare come lettera dopo lettera, anno dopo anno, Van Gogh abbia preso confidenza con le forme e i tratti, fino a farli suoi.
Inoltre, leggendo il testo delle lettere si nota quanto l’artista tenesse a rendere al meglio il risultato del proprio lavoro pittorico, in forma di illustrazione ma anche di testo. Gli schizzi sono infatti sempre corredati da una spiegazione estremamente dettagliata e attenta.
Come in questo caso, in una lettera diretta a Émile Bernard e datata 18 marzo 1888, quando Van Gogh era appena giunto ad Arles.
L’artista inserisce questo schizzo nella parte alta del foglio, prima ancora dei saluti:
Verso la fine scrive:
“At the top of this letter I’m sending you a little croquis of a study that’s preoccupying me as to how to make something of it — sailors coming back with their sweethearts towards the town, which projects the strange silhouette of its drawbridge against a huge yellow sun.”
Quello che è curioso dello schizzo è che l’artista utilizza il momento del disegno proprio come una riflessione personale, anche se poi quello stesso schizzo e quell’analisi verranno spediti ad un’altra persona e mai più rivisti. È anche curioso che Van Gogh abbia scritto su ogni soggetto il colore con cui intendeva dipingerlo, proprio per essere il più preciso possibile nel fornire un’idea chiara al proprio interlocutore.
Della tela finale è sopravvissuto solo questo dettaglio, che mostra comunque la fedeltà mantenuta rispetto allo schizzo:
In questo caso lo schizzo contenuto nella lettera diretta a Bernard si ritrova anche in un altro dipinto, Il ponte di Langlois ad Arles con lavandaie, che lo stesso Van Gogh menziona sbrigativamente in quella lettera.
Ripercorrendo le proprie tele ultimate o le proprie idee ancora da realizzare, Van Gogh denota una grande capacità di autocritica e autoanalisi. Capace di notare i propri progressi, ma anche di rendersi conto di quanta strada ancora gli manchi da fare, l’artista comprende profondamente il proprio lavoro.
Le sue descrizioni riguardano ogni aspetto del quadro e dello schizzo: dalla cromia, dove Van Gogh si sofferma a riflettere sui contrasti di colore; alla struttura della composizione, al senso emotivo che intende trasmettere allo spettatore, fino allo scopo della tela.
Per esempio, nella lettera del 17 giugno 1890 indirizzata a Paul Gauguin, Van Gogh scrive:
“I also have a cypress with a star from down there.
A last try – a night sky with a moon without brightness, the slender crescent barely emerging from the opaque projected shadow of the earth – a star with exaggerated brightness, if you like, a soft brightness of pink and green in the ultramarine sky where clouds run. Below, a road bordered by tall yellow canes behind which are the blue low Alpilles, an old inn with orange lighted windows and a very tall cypress, very straight, very dark.
On the road a yellow carriage harnessed to a white horse, and two late walkers.”
E verga questo schizzo tra la prima frase e il resto del paragrafo:
La tela finale è Viale di cipressi sotto il cielo stellato (1890):
L’artista si spegnerà due mesi dopo, il 27 luglio 1890. Sul suo corpo si trova una lettera non finita indirizzata a Theo, che contiene questo passaggio, ma nessuno schizzo:
“In fede mia, prima che ci sia la possibilità di chiacchierare di affari a mente più serena passerà molto tempo. Ecco l’unica cosa che in questo momento ti posso dire, e da parte mia l’ho constatato con un certo spavento e non l’ho ancora superato. Ma per ora non c’è altro.
(…)
E poi è vero, noi possiamo far parlare solo i nostri quadri.”
Vincent van Gogh parlava tramite i propri quadri, ma si esprimeva perfettamente anche tramite la parola scritta e il disegno, mostrando un acume e una sensibilità fuori dal comune.