“Lolita” tra Stanley Kubrick e Vladimir Nabokov.

Abbiamo già parlato di Lolita; più o meno due anni fa, agli esordi della nostra carriera presso Lo Sbuffo, abbiamo pensato che fosse beneaugurante partire con questo libro, che beneaugurante non è, ma che essendo molto, molto altro, ci ha permesso di sorvolare su ogni aspetto che riguardasse qualsiasi tipo di augurio.

In ogni caso, questo il link: https://losbuffo.com/2016/09/30/lolita/. Si tratta di un articolo a cui teniamo molto, per il tema, per il periodo in cui è stato scritto e anche per l’immagine, cucita su misura per la nostra Lolita da un’illustratrice che di Lolite ne ha viste tante. Trattatelo con cura.

Qui parliamo di un’altra Lolita, però, tenendo sempre a mente -per fortuna- la sua antecedente squisitamente letteraria. Qui parliamo della Lolita di Kubrick. Abbiamo riflettuto molto prima di scrivere questo articolo; un po’ perché ci siamo sempre occupati di letteratura e, francamente, ci manca qualche strumento tecnico per poterci lanciare a gamba tesa in un film, un po’ perché ci rendiamo conto che fingersi grandi intenditori di fronte a un gigante come Kubrick sia quantomeno ridicolo, un po’ perché, in fondo, siamo pavidi.

Per questo, dopo giorni di riflessione, abbiamo ritenuto opportuno  non lanciarci assolutamente a gamba tesa ma anzi, tenere le nostre gambe al proprio posto, ben piegate all’altezza del ginocchio; e soprattutto, non fingerci intenditori -scrittori falsi e presuntuosi sì, ridicoli no-. Qui parleremo di Lolita avendo conosciuto, amato, forse idolatrato Vladimir Nabokov, e avendo semplicemente visto il film di Kubrick.

Che a noi, sinceramente, proprio non è piaciuto.

E non si tratta neanche tanto di quella Lolita biondina con quei grandi occhiali da sole; ce la siamo immaginata diversa, leggendo il libro? Naturalmente. Bionda sì, ma senza occhiali da sole e, forse, notevolmente più in carne. Ma non importa, le associazioni che la mente fa quando ha di fronte a sé un’immagine solo descritta sono sacre e non vanno per nessun motivo criticate; non è questo il punto.

Il punto è che Humbert Humbert,-riteniamo gravissimo che voi non conosciate la storia, avete avuto a disposizione un libro e un film: rimediate, noi non lo faremo per voi-. Insomma, Humbert Humbert è un personaggio, tutto sommato, mediamente affascinante e, soprattutto, per nulla spaventoso. Kubrick ci propone un James Mason in ottima forma, forse un po’ avanti con gli anni, ma tutto sommato intrigante. Solo che quel signore lì non ha niente a che vedere con l’inquietudine terribilmente magnetica che l’Humbert senza volto di Nabokov è in grado di provocare. L’autore del libro è stato in grado di creare un protagonista che, a un certo punto, mette ogni lettore di fronte a una profonda e terribile scissione: l’ammirazione, da una parte; il disprezzo, dall’altra. -di solito questo comincia ad accadere a pagina 120 e poi, insomma, diventa assolutamente disturbante e magnifico a pagina 346-.

La verità è che Kubrick non è riuscito a fare lo stesso.

Sue Lyon, la “ninfetta” scelta dal regista, miss Sorriso per la Contea di Los Angeles, è bella, ammaliante, quasi sensuale; ed è proprio questo il suo problema. Nabokov è molto chiaro con i suo lettori, fin dalle prime righe: la sua Lolita non è bella né brutta; da grande potrà diventare una bella donna ma adesso questo non importa, il suo fascino non deve in alcun modo colpire il lettore e, di fatto, non lo fa. L’unica vittima della sua protagonista femminile è Humbert, e l’unico motivo per cui lui riesce a trovare erotiche le sue gambe ricoperte di lanugine è che Humbert è un pedofilo.

Non che Kubrick nicchi su questo aspetto; anche il suo protagonista è un pedofilo, ma manca di quella carica emotiva che invece è così forte e disturbante nel libro di Nabokov. Nel film è come se tutto procedesse in maniera rallentata e come se la bruttezza di ideali che c’è dietro il testo fosse in qualche modo edulcorata in nome della necessaria bellezza delle immagini; dalla sua, Kubrick ha che un libro non deve essere visivamente bello: un film sì. Nabokov non edulcora nulla: racconta un amore sbagliato, orribile, tremendo, assolutamente immorale -sul fatto che sia vero amore è in corso un dibattito; in ogni caso, noi lo chiameremo così, se non altro per amor di brevità, e scusate il gioco di parole-. Non c’è la ricerca del politically correct e anzi, l’autore ci tiene a mostrarci quanto quello che sta scrivendo sia scorretto sotto ogni punto di vista; Kubrick, da parte sua, ritiene necessario ammorbidire il tutto, la storia, i personaggi -la Lolita del film è sensibilmente più grande rispetto a quella piccola e indifesa del libro-. L’unico tratto che viene mantenuto intatto è la malizia della protagonista: Sue Lyon è apertamente e volutamente affascinante. E anche qui, ci sarebbe qualcosa da dire. Che Lolita sia maliziosa anche nel libro è vero, basti pensare alla terribile e agghiacciante scena di sesso tra i due; ma il lettore ha sempre il dubbio che quella malizia sia in realtà filtrata attraverso gli occhi di un protagonista che la deve usare come giustificazione rispetto a un’attrazione -o a un amore- sbagliati. Dopo aver finito il libro, il lettore ha l’impressione di non sapere se le emozioni che prova siano indotte da Humbert -e quindi da uno straordinario Nabokov- o se, in realtà, fossero già dentro di lui. Se quello che ha percepito, visto e letto sia reale o frutto della perversione di un protagonista pedofilo.

Questa è la forza del libro, questo è quello che manca al film – un po’ di politically (s)correct. 

E, davvero, siamo rimasti molto dispiaciuti. Per sincerarci di ciò che abbiamo provato, abbiamo rivisto il film più e più volte; da amanti di Kubrick, gli abbiamo dato -e siamo disposti a dargli- infinite possibilità. Forse con Lolita ha toccato un libro per noi sacro e, forse, siamo rimasti vittime della nostra stessa passione. Può darsi. Eppure, quella Lolita con i capelli biondi e gli occhiali da sole non sarà mai la nostra Lolita, che immaginiamo con dei grandi occhi scuri, i capelli mossi e un po’ di pancetta.

Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita. 


 


 

 

 

 

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