Black Panther, il diciottesimo film del Marvel Cinematic Universe uscito in Italia il 14 febbraio, ha conquistato pubblico e critica in un lampo.
La storia, incentrata sul giovane principe T’challa e la sua salita al potere, si svolge prevalentemente nel regno del Wakanda, un regno centroafricano immaginario nascosto agli occhi del resto del mondo, nel tentativo di nascondere la loro innovazione tecnologica e salvaguardare i loro tesori naturali da chi cerca di impossessarsene per dare il via a una guerra su scala mondiale.
Anche senza bisogno di scavare troppo in interpretazioni è chiaro che l’intero film si basa sull’orgoglio di appartenere al continente africano, alle sue tradizioni e alle sue innovazioni, che sono rappresentate in maniera incedibile all’interno del film da all’incredibile uso dei costumi.
Perché i costumi di “Black Panther” sono cosi speciali?
In Black Panther i costumi di scena non sono solo meravigliosi da guardare, sono parte integrante della storia. I costumi stessi sono uno dei modi più espliciti all’interno del film per rappresentare l’intero universo africano, rispettandone le varie identità, allontanando gli stereotipi e permettendo tramite vari accessori o indumenti di identificare immediatamente determinate tribù o nazionalità.
Questo lavoro incredibile è frutto di una squadra di trenta stilisti, capeggiati da Ruth E. Carter, una tra le più famose costumiste afroamericane, due volte candidata all’Oscar per i suoi lavori.
Ruth Carter non conosceva il personaggio di Black Panther prima di accettare l’incarico per il film ma nonostante questo ha immediatamente compreso la potenzialità che un film del genere avrebbe potuto avere nel raccontare la storia del popolo africano sugli schermi di tutto il mondo.
Dopo sei mesi di ricerche per tutto il mondo, dai mercatini di Nairobi agli archivi di New York, sono stati creati abiti che uniscono tutte le tradizioni del popolo africano, con un tocco di innovazione e tecnologia.
La Carter ha definito all’ Washington Post i suoi costumi come “feminine, masculine, beautiful and strong — and without showing an inch of skin.”
“Femminili, mascolini, bellissimi e forti – e senza mostrare un centimetro di pelle”
I costumi di cui la stilista è più fiera sono le uniformi delle guardie femminili, le Dore Milaje, che si occupano della protezione del regno del Wakanda e del principe in prima persona.
Ruth si è concentrata moltissimo su questi costumi, cercano di mostrare la forza e il coraggio di questi personaggi, senza cadere nel luogo comune per cui i personaggi femminili dei film d’azione spesso indossano abiti così corti e provocanti da cadere nell’osceno.
Questo non accade in Black Panther dove i personaggi femminili sono estremamente sensuali ma altrettanto forti e rispettabili.
Nei costumi femminili sono inseriti anche elementi tribali come le collane, indossate presso lo Zimbabwe o il Sudafrica come segno di ricchezza o elevato rango sociale, o un trucco tribale praticato all’interno di moltissime tribù centroafricane.
Anche il trucco che le guerriere indossano spesso su tutto il corpo è ispirato a quello del popolo Himba sub-sahariano.
Non sono solo i personaggi femminili ad avere chiari riferimenti a elementi tribali: La tribù del confine, e molti altri personaggi in alcuni momenti del film, indossano grossi mantelli drappeggiati intorno alle spalle nello stesso modo dei Bashoto , un popolo del Lesotho.
Se Black Panther ha già lasciato un segno nel mondo dei cinecomics è molto probabile che presto i suoi costumi influenzeranno anche quello della moda.
In alcuni casi è già accaduto, infatti alla Prima mondiale del film moltissimi attori e star di Hollywood si sono presentati sul red carpet indossando abiti ispirati alla tradizione e alla cultura africana.
Nonostante per Ruth Carter questo fosse il primo film fantasy in cui abbia lavorato, è riuscita a creare un mondo perfetto in cui tradizione e innovazione si fondono per creare qualcosa di unico, e a trasmettere con i suoi costumi un messaggio chiarissimo: accettare il progresso non significa rinnegare le proprie origini, essere cittadini del mondo non significa dover dimenticare la propria cultura.
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