Tra cultura, arte, turismo e gastronomia l’Italia si colloca sul podio delle mete più ambite tra gli stranieri, ma cosa si aggiunge a questo sentimento di stupore? Tutto questo enorme successo è dovuto fascino firmato “Made in Italy”; al carisma e attrazione che invadono le vie illuminate, circondate e decorate dalle vetrine lussuose testimonianza dell’ascesa italiana che, a partire dall’unità, ha impresso un’influenza importante nel mondo della moda. Un mondo in cui arte ed eleganza si intrecciano, portando i più grandi brand del Made in Italy a diventare, a livello internazionale, il simbolo di uno stile ricercato e mai estinto.
Questa costante ammirazione verso il panorama aperto sulla moda italiana ha avuto, fin dall’inizio, un’importanza emblematica, tale da costituire una delle principali risorse economiche per il nostro Paese. Ma la sua storia è più complessa di quel che si pensa, ed ha intessuto, dall’epoca del suo esordio, uno stretto legame con il panorama storico-culturale.
Un po’ di storia… Era il 1935 quando il fascismo istituì per la prima volta l’Ente nazionale moda, con sede a Torino. Il suo successo, però, non fu immediato a causa del panorama economico-sociale, costretto a confrontarsi con un Paese in crisi, appena uscito da una guerra e pronto ad affrontarne un’altra, e colpito da una grande arretratezza sociale, tale da non poter reggere il confronto con i principali leader europei e nemici italiani: Francia e Inghilterra. Per affermarsi su un mercato internazionale l’Italia necessitava di un partner, una forza politica economicamente forte e indipendente, ma nemmeno in questo campo fu facile per il “bel paese” trovare un giusto alleato. Si dovette così aspettare il secondo dopoguerra, alimentato da un clima di speranza, per veder sorgere tra gli italiani una maggior presa di consapevolezza della grandezza e possibilità di successo del mercato della moda italiana a livello internazionale. I successi arrivarono immediatamente: 12 febbraio 1951, Firenze, il conte Giovan Battista Giorgini organizzò il primo First Italian high fashion show della storia italiana, con il fine di far conoscere il Made in Italy ai grandi azionisti americani. Bastò attendere il 1954 per veder sorgere a Firenze il Centro di Firenze per la moda italiana (CFMI), con il solo scopo di organizzare le sfilata a Palazzo Pitti (impresa riuscita con strepitoso successo). Fu in questo complesso panorama che si crearono stretti legami tra i principali centri della moda italiana: Milano, Torino, Firenze, Roma, da sempre sensibili alle esigenze del mercato e della società, fino ad arrivare e decretare Milano come la “capitale della moda”.
Insomma, la strada percorsa dal Made in Italy è intricata e non semplice, ma nonostante le difficoltà incontrate lungo il suo percorso è giunta ad affermarsi sul mercato estero con le più grandi maisons del lusso: Armani, Prada, Versace, Cavalli, Gucci, Dolce&Gabbana, Valentino, Trussardi, Ferrè, Tod’s, Moncler, Missoni, Biagiotti, Moschino, Rocco Barocco. Questi “big” della moda incidono in modo rilevante sull’intera economia del paese, come ha sottolineato l’ultimo rapporto di Mediobanca, il quale ha affermato come dal 2012 al 2017 l’industria tessile italiana di questi marchi riveste il 53% del fatturato (oltre a 30miliardi), il 67% degli utili e il 63% della forza lavoro. Se si pensa, però, che questo fatturato è dovuto unicamente al lavoro delle case dello sfarzo sopra citate ci si sbaglia. Al loro fianco si posizionano Luxottica, con un fatturato pari a 9 miliardi di euro l’anno; Prada, con 3,1 miliardi; Armani, 2,5 miliardi; Calzedonia, con 2,1 miliardi; OTB, 1,6 miliardi; Max Mara, 1,4 miliardi; Ferragamo, 1,3 miliardi; Zegna e Valentino, con 1,1 miliardi; e infine Geox, Bennetton, Moncler e Tod’s con un ricavo equivalente a 1 miliardo.
Le boutiques del lusso firmate Made in Italy, però, non vengono apprezzate solo dagli stranieri giunti in Italia per godere delle sue bellezze a 360°; bensì è lo stesso pubblico italiano a rappresentare il primo “erede” della moda internazionale, preferendo abiti, scarpe e accessori tutti Made in Italy. Ad aver reso possibile questi risultati soddisfacenti è stato il lavoro di collaborazione e integrazione messo in atto tra le principali aree: “prodotti e servizi, grado di innovazione, ambiente lavorativo, governance (ossia la responsabilità sul piano dell’organizzazione e gestione delle imprese), responsabilità sociale, leadership e performance”. Fiducia, qualità, innovazione e rivalorizzazione sono gli elementi indispensabili per potersi assicurare una clientela attenta e soddisfatta dai prodotti inseriti nel mercato. Tra le prime file dei principali brand trainanti della firma del Made in Italy in tutto il mondo si colloca Giorgio Armani che, come afferma Fabio Ventoruzzo, “non è solo un campione italiano di eccellenza nella moda, ma, anche, […] un ambasciatore della nostra reputazione all’estero, tra le 100 aziende più reputate al mondo”.
Un mondo unico e suggestivo quello della moda, dominato dalle tendenze esibite in anteprima sulle passerelle milanesi durante la settimana della moda, il quale si intreccia con la raffinatezza del “Quadrilatero della moda” (via Montenapoleone, via Manzoni, via Sant’Andrea, via della Spiga). Classe ed eleganza circondano anche Roma (piazza di Spagna, Trinità dei Monti, via del Corso) durante AltaRoma e Firenze, che ogni anno ospita l’evento di “Pitti immagine”, completamente dedicato alla moda maschile. Artigianato e moda si fondono l’uno con l’altro, ed ecco che è possibile osservare città come Portofino, Forte dei Marmi, Positano, Capri, Porto Cervo, Taormina, Corina, Cervinia, Madonna di Campiglio, Venezia, Genova e Napoli, non solo per le loro bellezze artistiche, paesaggistiche e per la presenza di boutique delle più grandi marche; bensì si possono scorgere veri e propri centri di produzione artigianale unica, come Marinella a Napoli nota per le sue cravatte, o Finollo a Genova per le sue camicie.
Il Made in Italy in mano agli stranieri Purtroppo, in questo immenso panorama propositivo e di grande ricchezza, c’è spazio anche per dei tracolli, primo fra tutti la cessione di alcune aziende italiane agli stranieri. Da sempre, il più grande rivale dell’Italia è la Francia, con aziende in forte crescita e con un reddito sempre più grande (basta pensare al colosso Louis Vuitton che, da solo, fattura più delle 15 principali aziende italiane: 37,6 miliardi di euro l’anno). Ad aggravare questo panorama sono state le quotazioni in borsa per alcuni dei principali brand italiani (Prada, Ferragamo, Luxottica, Tod’s, Geox, Moncler) e la cessione al Qatar della casa Valentino e di Safilo in mano a una holding olandese. E ancora una volta, ad approfittarne di più, sono i francesi, che con il gruppo Kering hanno acquistato di Gucci e Bottega Veneta. Ma perché tutto questo? Per poter reggere alla competizione globale sempre più competente sono necessari investimenti su una buona governance, sul prodotto e la catena di distribuzione; ma per gli storici leader è più semplice vendere l’intero gruppo a prezzi elevati, vivendo di rendita.
Per fortuna vi è ancora chi, con coraggio e determinazione, porta avanti la realtà del Made in Italy diffondendo le proprie idee e il proprio stile con continui cambiamenti, segno di una crescita e una maturazione manuale, pratica e artistica. Tutto questo si racchiude nell’impegno di una ragazza milanese (Federica Pessina, classe 1993) che, a partire dal 2014, ha creato un brand chiamato inizialmente Humpty Dumpty, ora diventato Humpty Dum. Il segno della sua evoluzione non si vede solo nel nome, ma nella cura, particolarità e unicità dei prodotti di abbigliamento e accessori da lei confezionati. Pochette e porta documenti sono stati i suoi primi lavori, fino ad approdare a costumi, magliette, felpe, tute, giacche, camicie, body, cappelli, pellicce e gonne, tutte rigorosamente ricamate e riportanti il suo marchio “HUMPY DUM”. Un vero e proprio esempio del Made in Italy, destinato a crescere e in grado di ridare slancio al mondo della moda artigianale. (è possibile vedere alcuni pezzi delle collezioni anche sulla pagina Instragram @humptydumgram)