Isabel Allende – Il quaderno di Maya

Maya ha diciannove anni, è figlia di un pilota di aerei americano e di una bionda europea che le ha lasciato giusto il colore dei capelli prima di tornarsene da dove è venuta. Ha due nonni fantastici, l’una biologica e l’altro adottivo, che si prendono cura di lei durante le lunghe assenze del padre. Una vita non perfetta, ma comunque serena, almeno fino alla morte del nonno, pilastro affettivo della ragazza.

Da lì in poi il precario equilibrio nella sua vita si scardina completamente, e Maya inizia a prendere una serie di decisioni autodistruttive, finendo per spingersi al limite estremo delle esperienze possibili. Fumo, droga, alcool, sesso, fuga da casa, narcotraffico, talvolta perfino prostituzione.

A poco valgono i tentativi della sua famiglia di riportarla a una vita più tranquilla; Maya raschia il fondo del barile prima di trovare la forza necessaria a disfarsi della sua vecchia vita.
Però la semplice forza di volontà non è sufficiente quando ci si attira il sospetto e le attenzioni di un agente di polizia, e Maya non è al sicuro vicino ai suoi cari. Di qui la decisione drastica della nonna di trapiantarla immediatamente nel luogo in cui ha trascorso la propria infanzia: Chiloé, un arcipelago cileno rimasto indietro di almeno cinquant’anni sulle innovazioni che hanno caratterizzato l’agiata fanciullezza di Maya.

Fermatevi un attimo a pensare alla vita come la conoscete: comodità, tecnologia, social network sono solo gli aspetti che saltano all’occhio della nostra quotidianità. Maya scopre la necessità di sudarsi i propri averi e i propri privilegi, la difficoltà di esprimersi in una lingua diversa dalla propria, ma anche un’identità collettiva della comunità che non aveva mai sperimentato prima.

Leggere questo libro è come guardare un film pieno di flashback incentrato sul contrasto fra un prima e un dopo che non potrebbero essere più diversi. La differenza non è semplicemente un fatto culturale, è anche un’impressione di distanza: ripensando al suo passato, Maya lo percepisce come una serie di cose capitatele per inerzia, uno spettacolo da guardare, non nel quale recitare. Viceversa, il presente è contatto. Contatto con la terra, con le emozioni, con il silenzio – e di conseguenza con i propri pensieri -, con le altre persone, con la propria identità.

Alcuni episodi salienti, che segnano fortemente lo stacco fra Stati Uniti e Sud America, sono l’arrivo di Maya sull’isola – l’amico di sua nonna che la accoglie è un po’ burbero – e un festeggiamento tradizionale che si rivela una vera e propria attrazione turistica.

Degno di nota è anche il particolare rapporto che Maya stringe con alcune donne locali, che si riuniscono periodicamente per celebrare la propria femminilità e si definiscono “brujas” (streghe). A questo proposito, alla Allende va riconosciuto che è in grado di calibrare sapientemente realtà e un pizzico di esoterismo, giocando con il senso di magico e la sospensione dell’incredulità del lettore, in questo come in molti altri dei suoi libri.

In definitiva, Il quaderno di Maya è un’opera capace di mostrare abilmente due facce dell’America, distanti nello spazio ma anche nel tempo (nonostante la contemporaneità delle vicende). A chi sarà capace di accantonare i propri eventuali pregiudizi – sullo stile di vita di Maya quanto sulle culture rurali – va in premio l’ennesima perla della Allende, da sempre abile penna che intreccia le proprie origini Sudamericane con la propria patria d’adozione, gli Stati Uniti.


 

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