Il fatto che nel 2018 un ottuagenario romanzo come Gioventù senza Dio (1938), “piccolo capolavoro” dell’austriaco Ödön von Horváth, risulti ai lettori ancora così “attuale, troppo attuale” (parole di Antonio Faeti), dovrebbe far sicuramente riflettere. E allarmarci.
Descrivendo la diffusione giovanile delle ideologie totalitarie, Horváth seppe addentrarsi egregiamente nell’analisi sociale a tal punto da rendere la propria indagine attuale sia da un punto di vista pedagogico, quanto da quello psicologico.
In Italia, esclusi gli anni Sessantottini, la parola “fascismo” non era mai tornata in auge così tristemente come in questi giorni. In un primo momento il fenomeno è stato per lo più circoscritto virtualmente, più in rete (incontrollato e incontrollabile) che in tv, dietro la confusa veste ideologica delle ceneri, di ciò che ne rimane-va del fascismo, ad uso e (con un po’ di onestà intellettuale direi anche) abuso di varie fazioni. Con l’avvicinarsi delle elezioni di Marzo e il riaccendersi di un dibattito politico risvegliatosi dal letargo post referendum, le idee sono sfociate in atti di violenza, a cui non sono mancate in risposta le manifestazioni di cui tutti abbiamo sentito parlare.
Gioventù senza Dio vede protagonista un professore di storia (narratore autodiegetico) alle prese con la propria classe ginnasiale composta in prevalenza dai figli della classe piccolo borghese, strato sociale dove le idee naziste avevano ormai preso slancio durante gli anni Trenta.
Fin dalle prime pagine del suo diario, il professore mostra l’incomunicabilità generazionale nei confronti dei suoi alunni, uno dei grandi temi nella letteratura tedesca novecentesca. E’ importante sottolineare che in Horváth lo scontro generazionale viene rinnovato contrapponendo agli scolari un professore trentenne anziché il più classico dei “matusa” come Aschenbach de La Morte a Venezia o Stepan Trofimovič Verchovenskij nei Demoni; per la serie “le colpi dei padri ricadono sui figli”.
Ma sarebbe troppo facile (e scorretto) stabilire una netta contrapposizione bene-male, eroe-antagonisti; queste sono astrazioni che non appartengono alla realtà, molto più complessa e difficile da analizzare. Attraverso il classico gioco di specchi espressionista, nella mente del giovane professore molteplici sensi di colpa per i propri fallimenti, esistenziali e didattici, si intrecciano e si snodano fino all’ammissione di una scomoda verità. L’umana debolezza del protagonista fa fronte così alla spietata solidità, cieca fede e ferma sicurezza dei ragazzi che paiono semplici “ingranaggi del sistema” o “burattini di propaganda”.
A distanza di ottant’anni esatti sorgono allora inquietanti preoccupazioni se il romanzo in questione non si limita più a essere considerato e interpretato come solo una mera testimonianza (seppur fiction) di un clima fertile e predisposto al nazismo. Clima che portò all’epoca i giovani tedeschi a unirsi alla Hitler-Jugend (HJ).
Senza dubbio a Horváth sono da ascrivere i meriti di aver saputo comprendere, analizzare e prendere immediatamente le distanze da quel côté a lui contemporaneo di stampo “austro-fascista” e, post Anschluss, nazista.
Attuale, troppo attuale di Antonio Faeti in Gioventù senza Dio di Ödön von Horvath, 2003 Milano, Tascabili Bombiani