Sapere è come la neve.
Come il cielo prima sereno, poi insospettabilmente coperto da una coltre di nuvole pallide, livide. Poi i cristalli impalpabili.
E quando guardi di nuovo il mondo è già bianco.
Sapere è stato come una nevicata leggera ma costante, e mi sono ritrovata a guardare il chiarore della mia solitudine che giaceva sul terreno davanti a me. Un messaggio scritto a caratteri cubitali dall’universo per me.
Perché sì, sono sola.
Sono sola quando cammino per strada quando guardo i passanti in viso quando osservo la contrazione di una mano sui manici della busta della spesa.
Sola quando piango e sola quando rido, sola quando sono sola e sola quando sono insieme. Sono sola ai concerti a teatro a scuola in metro in autobus al computer su internet al telefono.
Sono sola non in virtù di una qualche sorta di predestinazione, e nemmeno perché sono diventata il tipo di persona che non si nota per niente – come certi tipi di carta da parati – ma che nota tutto.
Tutti quanti siamo soli, ma a me è stato concesso saperlo.
E sapere è come la neve.
Sapere è essere un atomo, in apparenza tanto compatto da annientare l’essenza del vuoto, ma in realtà scisso nelle proprie parti. Il famoso pallone da calcio al centro dello stadio dagli spalti deserti.
Sapere è essere la particella di un gas, la cui massima interazione è l’urto occasionale con qualcuna delle altre.
La senti la mia solitudine? Il freddo sui denti, il sudore la notte, la speranza sempre.
Esiste più soli o meno soli, esiste una mano che posso stringere senza sentirla altra?
Mi sono sentita come quando ci si aspetta di avere un ultimo biscotto da mangiare, e invece non c’è. La mano che stringe a vuoto, sui denti e sulla lingua ancora il sapore che non abbiamo saputo gustare; come gli ultimi cinque minuti del compito smangiati dalla campanella in anticipo, come quel bacio che non abbiamo rubato e le occasioni che si allontanano camminando in fondo alla strada.
Sapere è come la neve, come il bianco abbacinante del sole che si fa spazio nella retina, come il vuoto che non sai come riempire e che non hai nemmeno il coraggio di guardare.
C’è sempre, come il bisogno di dormire o di bere o di mangiare; sapere è il negativo di una fotografia, il modo per mettere in salvo quello che credevi vero che fallisce miseramente.