I pantaloni da donna: breve storia di una lunga battaglia

Negli ultimi anni, nel mondo della moda come in quello più ampio della cultura, si è affermata una visione meno netta tra i generi: il maschile e il femminile, l’azzurro per i maschietti e il rosa per le femminucce, le macchinine per i bambini e le bambole per le bambine, stanno lasciando spazio a nuovi colori, giochi e possibilità adatti ad entrambi.

La modagenderless ha pian piano introdotto modelli di abbigliamento che possono essere indossati sia da uomini che da donne lasciando la persona libera di seguire il proprio istinto ed esprimere appieno la propria personalità attraverso l’abbigliamento.

Eppure l’idea di una netta separazione tra abbigliamento femminile e maschile è ancora molto radicata nella cultura occidentale, e, nonostante l’incredibile rivoluzione degli ultimi anni è inevitabile pensare che solo cent’anni fa era molto difficile per una donna indossare dei pantaloni.

Infatti, fino agli anni settanta una donna italiana era guardata con riprovazione, se non addirittura considerata immorale, quando indossava i pantaloni!

Ma in Italia si sa, la donna è sempre stata vista solamente come madre e moglie, eppure anche in ambienti come in Inghilterra e in Francia, stilisticamente parlando, l’uso dei calzoni da parte della popolazione femminile fu una vera e propria conquista avvenuta di recente.

Ma com’è iniziato tutto? E soprattutto, come sono nati i pantaloni?

I più antichi antenati dei nostri pantaloni risalgono ad un’invenzione di quasi duemila anni fa dei nomadi delle steppe euroasiatiche, che, vivendo gran parte della loro vita a cavallo, sentirono la necessità di trovare un capo d’abbigliamento comodo e resistente. Inventarono così dei robusti gambali, indossati sia da uomini che da donne proprio per sopperire a questa esigenza.
L’invenzione prese piede a poco a poco tant’è che anche il popolo romano decise di adottarla escludendone però l’uso alle fanciulle e alle matrone.

Fu così che via via nel tempo, i calzoni maschili cambiarono forma, materiale e lunghezza ma rimasero del tutto inaccessibili alle donne, che rimasero inesorabilmente legate alla tradizione delle lunghe gonne.

La madrina dei pantaloni

Nota per essere l’eroina nazionale francese, non tutti sanno che Giovanna D’Arco fu una precorritrice dei tempi e, per tutta la sua vita, si ostinò a portare fieramente abiti da uomo. Il suo portare le braghe e l’armatura, nonchè il mantenere i capelli molto corti, furono alcuni dei motivi per cui il suo celeberrimo processo finì con la pena di morte.

L’Ottocento e il primo cambiamento di massa

Usate come manifesto di indipendenza e rivendicazione dei pari diritti, le braghe vennero indossate dalle donne già dai primi anni dell’Ottocento come atto di denuncia e provocazione. Fu così che negli anni, la società iniziò a tollerare finalmente che la donna utilizzasse abiti considerati maschili nel caso in cui svolgesse un lavoro manuale come ad esempio gli estenuanti lavori d’estrazione, mansioni dure (ma redditizie) impossibili da svolgere in gonnella.

Di necessità virtù

Furono i primi movimenti per l’emancipazione della donna a sollevare il problema della scomodità dei costumi tradizionali femminili, ma solo con le guerre mondiali e il conseguente impoverimento della società e la rivoluzione nel ruolo della donna che si inizio ad accettare l’idea di pantaloni femminili.
Alla fine degli anni settanta, con il grandissimo successo dei jeans e il movimento hippie, i pantaloni diventarono un capo per entrambi i sessi accettato in tutt’Europa, persino nella più diffidente Italia.

In conclusione

Se la moda “genderless” è considerata la rivoluzione degli ultimi anni non dobbiamo dimenticarci dei secoli precedenti, e della lunghissima estenuante battaglia che la popolazione femminile ha combattuto per non essere relegata all’interno di quelli che venivano considerati gli unici abiti che una donna potesse indossare. Ora è il momento che la moda faccia crollare il resto delle sue barriere e dia la possibilità a entrambi i sessi di esplorare tutte le possibilità che la creatività umana ha da offrirgli.

 

FONTI:

Corriere della Sera

Lundici 

 

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