Sulle case chiuse e la mercificazione dei corpi #1

Il ritorno ai casini (altresì chiamati case chiuse, postriboli o lupanari), sfolgoranti nell’epoca del ventennio fascista, è stato più volte caldeggiato negli ultimi anni; in particolare da Matteo Salvini, che ha colto l’opportunità di rilanciare la proposta in occasione delle elezioni del 4 marzo.

Il leader del Carroccio, nel presentare questo progetto che frantumerebbe definitivamente la legge voluta e combattuta dalla senatrice socialista Angelina Merlin nel 1958, ha fatto leva su alcuni obiettivi fondamentali: in primo luogo quello di seguire l’esempio tedesco e di altri paesi europei nei quali la prostituzione è stata legalizzata già da tempo; poi quello di contrastare la tratta delle schiave sessuali; di garantire benefici alle sex workers, coloro che esercitano non per costrizione ma per libera scelta; infine, il vantaggio calcolato dagli esperti (anche se non si sa con quale criterio metodologico) di far incassare allo stato italiano 2 miliardi di euro l’anno.

Schiele – Reclining woman with green stockings (1917)

Dato che soltanto 60 anni fa la prostituzione in Italia era ben legalizzata e gestita dallo Stato, vale la pena ricordare quali fossero le sue caratteristiche peculiari, e se davvero nulla hanno a che vedere con le proposte di oggi.

Oltre a piccoli aneddoti di sapore squisitamente storico (per esempio quello che vedeva la maitresse, colei che gestiva la casa chiusa, spruzzare dell’insetticida puzzolente sui visitatori molesti al battagliero grido di “o figa o fuga”), gli aspetti che paiono più caratteristici sono due: innanzitutto il fatto che le prostitute fossero costrette a periodiche visite mediche, in seguito alle quali, se non reputate idonee, poteva essere loro proibito l’esercizio del meretricio, a esclusiva protezione dei clienti uomini; e in secondo luogo il fatto che ogni lavoratrice dovesse essere previamente schedata e registrata. Se la prostituta si ammalava, per esempio di sifilide, veniva gentilmente scortata al manicomio, che altro non era se non una ben poco attrezzata struttura in cui veniva posteggiata qualsiasi figura che mal si adattasse al costume sociale dell’epoca, quello del perfetta/o fascista.

Anche se la proposta del capo leghista si inscrive nel solco del già citato esempio tedesco, alcuni aspetti presenti nel ventennio continuano a sopravvivere: i controlli sanitari a cui dovrebbero essere sottoposte le lavoratrici, che deresponsabilizzano il cliente senza contare che è proprio lui a voler consumare la carne senza protezione; e, come nota la sociologa Giorgia Serughetti, “un forte accento disciplinare, di controllo sui corpi di chi esercita la prostituzione“.

Inoltre i dati relativi ai paesi depenalizzatori hanno messo in luce che legalizzare la prostituzione non costituisca inequivocabilmente un deterrente alla tratta delle schiave sessuali o alle aggressioni di cui possono restare vittime le donne sulla strada. Altre fonti, invece, rilevano che le mete preferite dai criminali di tal genere sono proprio quei paesi in cui la prostituzione è statizzata, anche perché è più difficile perseguire i protettori.

Al di là delle trame politiche, si dovrebbe porre l’accento sulle mancanze delle leggi dei paesi europei, che da un lato non proteggono coloro che vengono sfruttati, e dall’altro nemmeno tutelano quelli che esercitano questo mestiere per libera scelta, nei modi e nei tempi che desiderano, in luoghi protetti e con clienti fidati. Ma al problema della prostituzione non può rispondere soltanto il freddo strumento legislativo, né può essere descritta attraverso un calcolo statistico, poiché si perderebbe di vista ciò per cui stanno le inespressive cifre numeriche, cioè le persone.

Affresco a Pompei

Bisogna ricordare anche che la civiltà occidentale è basata su alcuni postulati fondamentali, come il fatto che lo Stato debba intervenire laddove condizioni economiche, sociali e culturali non garantiscano la piena realizzazione del cittadino. La prostituzione coinvolge un’umanità variegata, in cui coesistono sia coloro che lo fanno in quanto costretti, come carne da macello, coloro che lo fanno perché non hanno altra scelta e singoli che decidono quando e come darsi, agendo in tal senso in quanto soggetti.

Una soluzione a tale problematica dunque non può prescindere dalle condizioni sociali, economiche e culturali che costringono una persona a vendere il proprio corpo. Solo così potrebbero essere tutelati coloro che lo fanno davvero per libera scelta e solo così si arriverebbe a una vera parità di genere. L’erotismo sarebbe sbrigliato dalle catene oggettificanti che strangolano una delle due parti, solitamente la donna, e tornerebbe a essere solamente quello che è e che dovrebbe sempre essere: l’incontro di due alterità, due soggetti liberi.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.