È l’umanità che fa la differenza
Circa un mese fa, avevamo recensito l’ultimo album di inediti di Francesca Michielin, 2640, il terzo della sua giovane carriera, terminando con questa frase: “ora non ci resta che attendere il live”. Col senno di poi, si può dire che non fossimo i soli ad avere segnato la data del 17 marzo sul calendario: la giovane artista veneta infatti ha fatto il tutto esaurito al Fabrique di Milano, circa 3000 persone. Un successo costruito con lungimiranza e pianificazione, senza l’urgenza di voler bruciare le tappe. Un esempio positivo per tutti coloro che credono che la musica pop possa (e debba) non solo far stare bene, ma anche trasmette dei messaggi costruttivi e di condivisione.
Il disco è uscito il 12 gennaio e immediatamente, quanto inaspettatamente, mi ha conquistato: era quindi tanta la curiosità di sapere a che tipo di pubblico 2640 avesse comunicato emozioni tali da affrontare le intemperie milanesi. La risposta è stata sorprendente: tantissimi under 30, di cui molte coppie, ma anche gruppi di amici e amiche, oltre alle più prevedibili famiglie che accompagnavano le loro bambine. Un pubblico variegato e tranquillo: il clima che si respirava a pochi minuti dall’inizio del concerto era di totale relax.
Il palco ha ripreso, per mezzo di tre grossi triangoli, i colori dell’album: rosso come un Vulcano (il primo singolo), blu come il mare (Io Non Abito al Mare, scritto insieme a Calcutta, è forse il pezzo che più ha avuto successo finora di 2640) e verde come la montagna, chiaro riferimento a Bolivia, da settimana scorsa in tutte le radio. Nel corso del live, i tre triangoli cambieranno colore e interagiranno con le note suonate. Inoltre, è stato adibito un coinvolgente meccanismo di luci psichedeliche per i momenti più allegri.
Francesca sale sul palco urlando un pacato: “Buona sera!” e con un abbigliamento molto semplice, tuta e giacchetta leggermente glitterata, che rispecchia la sua personalità: una ragazza umile e timida, consapevole del proprio talento, ma troppo attratta da strumenti e microfono per poter lasciare spazio a qualsivoglia frivola distrazione che abbia ad oggetto l’estetica. Insieme a lei ci sono tre ragazzi all’incirca suoi coetanei che l’accompagneranno alternando chitarra, batteria, tastiere e molto altro. La formazione, malgrado la giovanissima età, è sembrata subito affiatata: merito anche delle numerose ore di prove che hanno preceduto l’inizio del tour, documentate sui social media. È relativamente presto, poco dopo le 21, e soprattutto durante le prime canzoni, la ventitreenne è apparsa ancora un po’ goffa nei movimenti, se confrontata con alcune sue colleghe più navigate, ma col passare dei minuti si è trovata sempre più a suo agio. In ogni caso, il meglio di sé lo ha dato con le mani occupate a suonare, il che è accaduto in svariate circostanze: studentessa al conservatorio, è infatti capace di suonare indifferentemente, tra gli altri, il basso, il pianoforte, il PAD e il tamburo.
La scaletta ha dato per lo più spazio ai brani dell’ultimo disco (dodici sulle ventuno eseguite), mentre per il resto sono stati mantenuti gli irrinunciabili successi del lavoro precedente Di20are, quali Battito di Ciglia, L’amore Esiste e Nessun Grado di Separazione.
Piccola nota dolente, l’energia emanata dai presenti nell’ora e mezza del concerto: a un massimo tentativo di coinvolgimento da parte dell’artista, non è infatti corrisposta una altrettanto convincente partecipazione da parte di chi era sotto al palco. Con l’eccezione della primissima fila, composta da giovanissimi appassionati e appassionate che sapevano i brani tanto quanto l’autrice, l’atmosfera è stata abbastanza fredda e statica, soprattutto troppo legata al diabolico oggetto che sta rovinando molti concerti, vale a dire lo smartphone. Al di là dei singoli radiofonici e leggeri, la faccia più comprensibile e conosciuta della Michielin, e quella dalla quale si è avuta la risposta più convinta, esistono almeno altre due sfumature del suo modo di essere artista che non hanno smosso lo stesso entusiasmo. Come ha dimostrato al Fabrique, c’è quella piano-voce, svelata durante E se c’era, Scusa se non ho gli occhi azzurri e Alonso, e quella più world music, presente per esempio in Tapioca. In questi casi, le persone presenti sono forse state incapaci di apprezzare un simile eclettismo.
La vincitrice di X Factor 2011 ha il merito di aver rischiato molto, proponendo in un solo show una complessità di proposte musicali straordinaria. L’impressione è che sia mancato il centesimo per fare il dollaro, ma se l’amalgama con i fan non è ancora del tutto soddisfacente, non bisogna strapparsi i capelli. Il tempo è dalla loro parte e già adesso Francesca rappresenta una boccata d’ossigeno in un mondo, quello del pop femminile, dove è sempre più complicato trovare qualcosa di diverso da una ballad neomelodica, scritta da un terzo. Nella sua breve carriera, ha già dimostrato di avere i piedi ben piantati per terra, di avere determinati valori dai quali non si vuole smuovere e 2640 è un bellissimo passaggio intermedio, tra la maturità e l’adolescenza, tra l’indie e il pop e, perchè no, tra i più piccoli club e il Forum d’Assago, dove è destinata a esibirsi in futuro, se queste sono le premesse. Gli americani direbbero di lei, che siamo di fronte alla next big thing della musica italiana: armiamoci di pazienza, the best is yet to come.
Scaletta
- Comunicare
- Battito di ciglia
- Lontano
- Tropicale
- E’ con te
- Io non abito al mare
- Bolivia
- Due galassie
- L’amore esiste
- Distratto
- Un cuore in due
- E se c’era…
- Scusa se non ho gli occhi azzurri
- Noleggiami ancora un film
- Nessun grado di separazione
- Tutto è magnifico
- Amazing
- Tapioca
- Alonso
- Vulcano
- La serie B
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