Only when you drink from the river of silence shall you indeed sing.
Una morte che parla, che grida le sue ragioni, quella evocate da Kahlil Gibran in The Prophet e quella celebrata il 21 marzo nella Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie.
Istituita ufficialmente il 1° marzo 2017 con voto unanime alla Camera, questa commemorazione nazionale vuole essere un tributo a chi ha immolato la propria vita alla lotta contro il mostro della criminalità organizzata e a chi ne è stata inconsapevole e casuale preda, in Sicilia e Campania come il Lombardia: magistrati, prefetti, poliziotti, ma anche commercianti, passanti, nonni e neonati (rimando anche all’articolo E adesso tocca a noi).
Ricordare come primo atto di un impegno civile collettivo volto a smantellare quell’omertà in cui prolifera il pensiero mafioso, prima ancora delle cosche e delle loro violenze. Dal 1996 in migliaia di piazze italiane risuonano gli oltre 950 nomi di vittime illustri e non, a partire da quello di Emanuele Notarbartolo.
Nato il 23 febbraio 1843, il marchese di San Giovanni fu un esponente della Destra storica e sindaco di Palermo dal 1874 al 1876, anno in cui venne nominato direttore generale del Banco di Sicilia, dove impostò una politica creditizia prudente e dimostrò ancora una volta la propria incorruttibilità stroncando le speculazioni e le prassi clientelari intessute coi mafiosi locali. Per questa sua onestà divenne il primo grande bersaglio di Cosa nostra e per questa stessa onestà fu sordo alle intimidazioni. Nel 1882 Emanuele Notarbartolo venne sequestrato e rilasciato dopo pochi giorni dietro pagamento di 50.000 lire. I rapitori vennero catturati a Villabate, tra gli agrumeti della Conca d’Oro che circonda Palermo, in un latifondo confinante con i possedimenti di Raffaele Palizzolo.
Casualità che smette di essere tale se si analizza la figura di Palizzolo: oppositore politico di Notarbartolo e notoriamente colluso con la malavita, una volta nominato tra gli amministratori del Banco di Sicilia, rafforzò il proprio ruolo di protettore, determinando anche le dimissioni del direttore generale, ostile alla politica di favoritismi. Ma l’allontanamento di Notarbartolo non fu sufficiente: egli restava un punto di riferimento nell’inchiesta aperta nel 1892 dopo lo scandalo della Banca di Roma e volta a appurare la condotta bancaria fraudolenta dell’amministrazione siciliana.
1° febbraio 1893, linea ferroviaria Termini-Palermo. Emanuele Notarbartolo era sul treno serale che lo stava riportando a casa dopo una giornata trascorsa nei possedimenti di Sciara. Venne aggredito da due uomini armati mentre il suo vagone attraversava una buia galleria: lo uccisero a coltellate, lo spogliarono dei documenti e degli effetti personali e lo gettarono dal treno in corsa, nella vana speranza che ciò potesse impedire il ritrovamento o almeno il riconoscimento del cadavere.
Le indagini furono lente e difficoltose, perfino inquinate da poliziotti corrotti. Così passarono sei anni prima che il processo venisse istituito, per giunta con solo due ferrovieri come imputati. La sede, Milano, permise tuttavia al caso di assumere rilevanza nazionale e la mafia smise così di essere un fenomeno meramente regionale.
Inoltre, grazie alle insistenze di Leopoldo Notarbartolo, figlio della vittima, l’inchiesta arrivò a coinvolgere il deputato Palizzolo, arrestato nonostante l’immunità parlamentare. Cruciali furono invece le pressioni esercitate dal Questore di Palermo Ermanno Sangiorgi sul Principe di Mirto perché gli consegnasse uno degli esecutori del delitto, che latitava nei suoi feudi: Giuseppe Fontana.
Condanna a 30 anni di reclusione è la sentenza del secondo grado di giudizio, annullata però per un vizio di forma. Il processo viene replicato a Firenze, ma mancò la testimonianza dell’altro assassino, Matteo Filippello, ritrovato morto pochi giorni prima della sua deposizione in tribunale. Suicidio o ennesima manovra mafiosa? Certo è che i due accusati vennero prosciolti per insufficienza di prove senza che ciò scatenasse l’indignazione dell’opinione pubblica, ormai disinteressata a un fatto avvenuto vent’anni prima.
Palizzolo, sebbene compromesso politicamente, venne anzi accolto festosamente al suo rientro a Palermo: la sicilianità offesa veniva riscattata.
A rivendicare giustizia per l’ex-sindaco di Palermo restava il figlio Leopoldo Notarbartolo. Essere in piazza il 21 marzo vuol dire protrarre la sua voce.
FONTI
Ceruso V. (2008) Uomini contro la mafia, Newton Compton, Roma.
Tessitore G. (1997) Il nome e la cosa: quando la mafia non si chiamava mafia, Franco Angeli, Milano.