Between me and P. : la performance dell’intimità

“Between me and P.”, performance teatrale messa in scena da Filippo Michelangelo Ceredi per il Danae Festival, 2016, è stata ospitata da ZonaK a inizio marzo. Una storia privata, d’intimità, documentaria, su un fratello scomparso. Il fratello di Filippo, Pietro, sparì nel 1987, senza lasciare spiegazioni e tracce. Venticinque anni dopo, questi iniziò una lunga ricerca per dare luce al mistero, un’indagine che lo portò alla scoperta di materiali, appartenuti a Pietro, e parecchie testimonianze.

Le testimonianze rinvenute da Filippo sono utilizzate sulla scena (fotografie, filmati, interviste, articoli di giornali, musiche, innumerevoli libri) e sono presentate al pubblico, disposte, di volta in volta, sul palcoscenico come tessere di un mosaico, con un ritmo lento, quasi rituale. Il continuo mostrare gli elementi dell’indagine rende lo spettatore protagonista e libero interprete dei dati forniti, quasi fosse chiamato ad essere parte dell’evento artistico. Effettivamente, l’idea è quella di una completa condivisione dell’esperienza: il pubblico è avvolto da un’aura di compartecipazione e di profonda intimità con Filippo.

Durante un arco temporale abbastanza lungo nello spettacolo nessun corpo agisce sulla scena: l’azione è affidata alle testimonianze che, sole, scorrono su uno schermo e riempiono la sala. Filippo scrive al computer, apre file e fornisce le informazioni base per l’inizio dell’indagine. L’irrompere di un corpo sulla scena provoca un grande sgomento: un disperato tentativo d’affermazione di sé, prima escluso. Filippo dialoga con le immagini (fotografie di una società negli anni ’80) che proietta: inizialmente le guarda, è anch’egli spettatore di una storia, non ne è effettivamente coinvolto, ma, anzi, da quella realtà viene manovrato, divenendo una pedina della sua stessa vita. A volte, invece, entra a far parte di quelle immagini, in una fusione di rapporti che lo legano necessariamente al fratello scomparso, quasi in un’identificazione.

Colui che agisce sul palco non è un attore: Filippo si esprime nella sua autenticità, senza pretendere di recitare una storia, bensì di testimoniarla. Proprio per questo, lo spettacolo non è temporalmente definito: all’inizio, gli spettatori vedono un ragazzo che pulisce il palco e, alla fine, lo stesso ragazzo chiede loro di entrare nel mondo del suo racconto, tastando con mano le fotografie a terra.

Analizzando gli strumenti scenografici, appare evidente come la storia privata di Pietro assuma anche una connotazione sociale: le musiche, gli articoli di giornale presentati risalgono agli anni ’80 del novecento. L’inadeguatezza personale di Pietro riflette, così, l’inadeguatezza di un’intera generazione, vittima e prigioniera di una società che lascia ai margini. Quella di Pietro è una storia collettiva, la storia di una ricerca, di una presa di coscienza.


 

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