“Frida Kahlo. Oltre il mito”, al Mudec fino al 3 giugno, è una mostra da non perdere: ricca di fotografie, di pannelli esplicativi, ma soprattutto di opere. Che una mostra sia ricca di opere non dovrebbe certo rappresentare una novità, ma dopo una stagione milanese all’insegna di “mostre senza quadri”, questa eccezionalità è doveroso esplicitarla.
Al Mudec sono esposte all’incirca duecento opere, tra disegni, fotografie e dipinti provenienti principalmente dal Museo Dolores Olmedo di Città del Messico e dalla Jacques and Natasha Gelman Collection. Presenti anche dipinti come l’Autoritratto alla frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti (1932) e l’Autoritratto con collana di spine (1940); capolavori che hanno attraversato l’oceano per essere ammirati anche qui in Europa, come lo sono del resto in tutto il mondo.
L’artista messicana è infatti sempre più celebre, tanto che si è consolidato un mito intorno alla sua figura, pari a quello di pochi altri personaggi e certamente unico per un’artista donna. Questo clamoroso successo è indubbiamente dovuto alla sua maestria, ma alimentato anche dalla sua stessa figura rivoluzionaria: per Frida la lotta non era solo una questione politica, ma un modo di essere, uno stato d’animo, una ragione di vita. La sua lotta era cominciata quando all’età di diciott’anni si era ritrovata faccia a faccia con la morte a causa di un incidente tra un tram e un autobus in cui era rimasta coinvolta e che la costrinse a letto per anni. Fu allora che, per non lasciarsi schiacciare dalla disperazione, cominciò a dipingere; la pittura rimase sempre per lei un rifugio, quando tante altre volte la vita tentò di sopraffarla.
Frida è un simbolo di resilienza, è una figura affascinante che continua a intrigare, per la sua forza, la sua passionalità e il suo coraggio.
Questo mito “ingombrante” ha talvolta oscurato la sua stessa pittura come hanno fatto notare i curatori della mostra che hanno per questo deciso di intitolarla “Frida Kahlo. Oltre il mito”, per ridare il giusto peso alla sua opera pittorica. Ed effettivamente la successione serrata dei suoi capolavori nelle sale del Mudec, esposte in ordine tematico, riesce a rendere al visitatore la grandezza artistica della pittrice messicana.
Molto interessante inoltre anche il video collocato all’ingresso della mostra che, attraverso i bellissimi disegni della fumettista e illustratrice italiana Vanna Vinci, racconta la vita travagliata dell’artista e si conclude sulle note rasserenanti della cantante messicana, e amante dell’artista, Chavela Vargas.
Un po’ traumatica invece la conclusione dell’esposizione che si chiude con la tematica del dolore, negando dunque al visitatore una catarsi finale: una serie di dipinti angoscianti e una successione di fotografie strazianti dei camici bianchi sporchi di sangue e dei corsetti di Frida, che ricordano veri e propri strumenti di tortura, sono esposti nelle ultime sale della mostra.
“Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più”
scrisse l’artista messicana poco prima di morire; il suo dolore cessò nel luglio del 1954 a causa di un’embolia polmonare, anche se ancora non è del tutta esclusa la possibilità che sia stata Frida stessa a mettere fine alla sua agonia.
Ma, nonostante il mare di dolore che è stata la sua vita, quando oggi si guardano le sue immagini con quegli abiti colorati, quei fiori ai capelli, quelle tele pieni di colori cangianti e quelle foto che la ritraggono come amante passionale e donna fascinosa salgono infine alle labbra solo poche parole: Viva la vida… viva Frida!
FONTI
visita da parte dell’autrice