L’interessante storia del Giappone mostra come le ideologie ottocentesche abbiano imprigionato per molto tempo il pensiero economico occidentale in pregiudizi nei confronti di quei paesi che hanno deciso di non seguire il pattern di sviluppo intrapreso dalle nazioni a economia avanzata.
La vivace crescita dell’economia giapponese a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso ha infatti dimostrato come sia stato possibile per questo paese divenire – grazie a una eccellente capacità manifatturiera – il secondo paese industriale dopo gli Stati Uniti e il terzo esportatore mondiale dopo Stati Uniti e Germania, nonostante la scarsità di terra coltivabile, la quasi totale mancanza di materie prime e di fonti energetiche essenziali. Tutti gli economisti concordano che, al fine di una crescita e di uno sviluppo economico, siano necessari un’abbondante quantità di risorse materiali e umane (hardware), come anche di capacità manageriali e tecnologia (software).
Ciononostante, il caso giapponese ci dimostra come i due fattori citati non siano sufficienti a determinare una crescita economica e che, per essere pienamente utilizzati dal sistema, debbano sussistere opportune norme, istituzioni e comportamenti concreti atti a favorire, non già a ostacolare, lo sviluppo economico. Si parla in questo senso di qualità dell’orgware, terzo pilastro su cui poggia l’economia e fattore essenziale per una più o meno buona performance del sistema economico.
L’importante e complesso concetto di orgware sottolinea come il problema non sia tanto quello di verificare se per il commercio internazionale sia migliore una strategia protezionistica o libero-scambista – in quanto ogni sistema economico dovrebbe perseguire il proprio sviluppo nella maniera a esso più adatta – quanto quello di valutare la qualità e l’efficienza dell’utilizzo di hardware e software.
L’alta qualità dell’orgware giapponese determina l’efficiente atteggiamento dell’impresa nei confronti degli obiettivi di breve, medio e lungo periodo (favorendo il lungo, al contrario delle imprese occidentali) e il suo comportamento nei confronti delle altre imprese all’interno dello stesso sistema economico, nel quale si privilegia il benessere del sistema a discapito di quello dell’industria (atteggiamento tipico occidentale) in caso di conflitto tra impresa e sistema economico.
L’ottima qualità dell’orgware nipponico si evince anche dalla preferenza per le relazioni di tipo fiduciario tra imprese, sfavorendo quelle di tipo contrattuale proprie dei sistemi economici occidentali. Questo determina un coinvolgimento della sfera morale personale delle parti contraenti, per le quali qualità e servizio non vengono più considerate come mera politica, bensì come un dovere. Vi è una forte intolleranza verso la violazione sostanziale delle clausole del contratto e le imprese non accettano atteggiamenti che generano vantaggi in un’ottica di mercato e quindi di un orizzonte temporale di breve periodo.
Un ulteriore esempio di elevata qualità di orgware si dimostra nel modo in cui si esprime l’individualismo e il desiderio di primeggiare. In Giappone, così, è possibile migliorare le proprie posizioni all’interno dell’azienda solo se si è stati legittimati dal gruppo di appartenenza, è quindi inammissibile farsi strada a spese degli altri e senza avere dimostrato una effettiva superiore devozione al lavoro e maggiori competenze. Questo permette a coloro che lo meritano di occupare posizioni di maggiore responsabilità senza deludere le aspettative di chi non è salito gerarchicamente. Tutto questo rafforza lo spirito di gruppo, il quale genera a sua volta una maggiore dedizione al lavoro ed efficienza.
Come si è potuto dedurre da quanto detto, i fattori che hanno determinato una incredibile crescita economica giapponese sono molteplici. Di fondamentale importanza è sottolineare come il fattore orgware sia essenziale per uno sviluppo economico e, forse, ci si dovrebbe chiedere a quali risultati hanno portato le ideologie ottocentesche occidentali che perseguono un darwinistico survival of the fittest.
FONTI
Gianni Fodella, I fattori alla base della competitività giapponese, in Rivista Internazionale di Scienze Economiche e Commerciali, CEDAM, 1991, XXXVIII, n. 12.