e dovrei sentirmi libero
quando l’informazione è in mano a giornali come Libero
ma questo non importa: io morirò sereno
quando capirò perchè Belpietro gira con la scorta
Il rapporto tra musica e politica in Italia non è mai stato semplice. Lo Stato ha da sempre detenuto alcune delle più strategiche televisioni e radio, vale a dire i principali strumenti tramite i quali, specie prima dell’arrivo di internet, un cantante poteva sperare di arrivare al grande pubblico. Da questa premessa nasceva la necessità da parte di chiunque avesse desiderato lavorare nell’ambito musicale, di ingraziarsi i favori della “casta”.
Le cose non sono cambiate tanto con la prima ondata del web (metà anni 90), quanto con la seconda, che ha visto l’ascesa di piattaforme quali Skype, Youtube e Messanger circa dieci anni fa. Da lì in poi è praticamente venuto meno un intermediario che fino a qualche tempo prima aveva un potere contrattuale enorme: una vera e propria rivoluzione che ha permesso alle nuove proposte di esprimersi senza filtri. Uno dei primi casi di successo online che cambiò la percezione degli addetti ai lavori e fu da stimolo ed esempio per tanti altri artisti venuti dopo, fu un ragazzo di Rozzano (sud di Milano) poco più che ventenne che il 12 marzo 2011 uscì con un concept album in free download dal titolo Penisola che non c’è, prodotto con soli € 500 e interamente dedicato alla situazione politica in Italia: il suo nome era ed è Federico Lucia, in arte Fedez.
Penisola che non c’è era stato preceduto l’anno prima dal mixtape BCPT, prodotto quando ancora Fedez, nato artisticamente nei centri sociali, apparteneva alla Blocco Recordz (crew hip-hop brianzola il cui personaggio di spicco è Emis Killa), e da DISS-AGIO sempre nel 2010, in collaborazione con Dynamite e presentato da Vincenzo da Via Anfossi. Entrambi i lavori tuttavia erano passati abbastanza inosservati al di fuori dell’ambiente milanese.
I sei mesi successivi segnarono invece la prima svolta nella sua carriera e più in generale un punto di non ritorno nel rapporto tra la musica e internet nel nostro paese. Sei video in particolare, ossia Anthem parte 1 (20/12/2010), Tutto il contrario (5/2/2011), Penisola che non c’è (12/3/2011), Ti vorrei dire (22/4/2011), Ti porto con me (26/5/2011) e Appeso a testa in giù (27/6/2011), indicarono quella che sarebbe divenuta una strada seguita da tutti: ritenere un brano “di successo” in quanto avente milioni di visualizzazioni su Youtube e non n copie vendute o x passaggi quotidiani in radio.
Il contesto nel quale questo disco si inseriva era un triennio di governo di centrodestra con Silvio Berlusconi premier (2008-2010), saltato agli onori delle cronache soprattutto per questioni extra-parlamentari quali il caso D’Addario (e il neologismo escort, per non utilizzare il termine prostituta) e il Ruby gate, con l’annesso scandalo “Olgettine” (che suggerì probabilmente la frase: “non c’è problema per le troie sopra il jet presidenziale, il problema è che dopo le candidano alle primarie” in Contenuti). A novembre del 2011 sarà il presidente della Repubblica in persona a chiedere un passo indietro al primo ministro, dando inizio al periodo delle “grandi coalizioni”.
In generale, la politica, definita “mafiosa” in Volevo fare il rapper, sembrava non riuscire a reagire alla più grande crisi economica degli ultimi novant’anni e già si intravedeva quella disattenzione nei confronti dei giovani che oggi ha portato al tasso di disoccupazione giovanile che conosciamo.
Partendo da un sentimento di sfiducia
(in Ninna Nanna: “quando ho visto la pubblicità sul nucleare dove ti chiedevano di prendere una decisione, per un attimo ho iniziato a sperare perché pensavo gli interessasse la nostra opinione“)
e indignazione (emblematica la frase “c’è chi lo chiama processo di maturazione, ma è la speranza che lascia spazio alla rassegnazione” in 3 di Notte),
condiviso anche da una parte di italiani,che non si sentivano degnamente rappresentati da una simile classe politica (“i politici buoni sono come le mosche bianche” in Ninna Nanna), il giovane rapper propose un’opera fortemente pessimista, cruda e scomoda, ma apparentemente innocua, visto che sette anni fa sembrava impossibile arrivare al grande pubblico senza un disco fisico nei negozi o un qualche contatto favorevole con i media nazionali.
Il milanese se la prese soprattutto coi cosiddetti “poteri forti”: imprenditori (“il problema sono i Moratti stirpe di petrolieri” in God War), i super ricchi (“in questa notte magica rapisci un miliardario esprimi un desiderio e poi gettalo nel pozzo” in Appeso a testa in giù), i dirigenti (“datemi i raccoglitori e gli allegati di tutti gli amministratori delegati” in Non basta mai) e le Banche (“quali rapine in banca, qua le banche ci rapinano” in Non basta mai).
Concentrandosi sui soggetti più decisivi e rilevanti all’interno dello scenario nazionale, il “coso dipinto” non poté fare a meno di coinvolgere anche lo Stato del Vaticano, al cui vertice allora stava da papa Benedetto XVI, per mezzo di una serie di riferimenti che in un altro periodo storico gli sarebbero senz’altro valsi la scomunica. In Ninna Nanna, per esempio, disse:
perché in fondo è anche colpa di questa chiesa ladra. Se credi in Gesù Cristo credi negli unicorni, se credi negli unicorni hai bisogno di uno psichiatra,
mentre in Contenuti si sbilanciò così:
Non esiste Dio dentro a questo mondo ipocrita, perciò a cosa cazzo serve la chiesa cattolica? Giusto per raccoglier fondi, una cifra simbolica
Un altro tema centrale è la prospettiva pacifista, per cui vengono condannate tutte le energie e le risorse dedicate all’armamento di uomini e donne pronti a compiere le cosiddette “missioni di pace”. La più dura traccia a riguardo è God War, dove stupisce, da parte di un giovane alle prime armi, il tentativo, al limite dello slogan demagogico, di argomentare la sua posizione, descrivendo con arguzia la situazione geopolitica di allora:
alla fine di ogni guerra si decidono le cause della guerra successiva. Ma non l’hai ancora capita? Debitori degli Stati Uniti e schiavi della Cina: stai tranquillo che in guerra qualcuno ci trascina.
L’attuale giudice di X-factor non puntò il dito solamente contro la classe dirigente, ma anche contro l’apatia e l’egoismo dei suoi concittadini, accusati in Contenuti “la gente protesta solo se non c’era il fuorigioco” (sì, è segno dei tempi, eravamo in epoca pre-VAR!) o “sono tutti zitti e sottomessi perché non ti sporchi le mani, finchè non toccano i tuoi interessi”, mentre in God War: “noi ce ne sbattiamo il cazzo finchè abbiamo da mangiare: siamo malati ed è malata la nostra morale”.
Nel 2011 gli adolescenti di allora stavano iniziando ad interessarsi sempre più al rap ed erano soliti supportare i loro cantanti preferiti con azioni concrete. Perciò, visto che nei negozi non era possibile acquistare l’album e il singolo download, una volta effettuato, non misurava il reale numero di ascolti (ed essendo ancora in epoca pre-Spotify), l’unico modo che ebbero per dimostrare il loro apprezzamento fu cliccare infinite volte i singoli usciti sul tubo: per il raggiungimento di questo risultato fu determinante anche la cura per i dettagli che lo stesso Zedef dimostrò di avere nella loro realizzazione (i primi video sono infatti tutti registrati da lui e ancora oggi è solito scriverne la sceneggiatura).
Anni dopo può sembrare scontato dare peso a questo dato, ma egli lo colse ben prima dei suoi colleghi: si tratta del più classico vantaggio competitivo di prima mossa, come direbbero gli economisti, i cui effetti, anche grazie ad altre scelte successive altrettanto vincenti, sono ancora ben visibili.
In un secondo momento, convintosi forse di non aver suscitato la reazione sperata, o volendo dare ragione alla sua frase di Listino Prezzi “la verità è che qua frà tutti hanno un prezzo”, Fedez ha deciso (litigando nel mentre con politici quali Gasparri e Salvini, e con quotidiani come Libero) di unirsi gradualmente a personaggi e mondi che in questo disco aveva criticato, vale a dire la Tv, le case di moda e il jet set, divenendo il soggetto che oggi tutti conosciamo.
Grazie a Penisola che non c’è, l’attuale popstar ha però lasciato una dichiarazione d’amore verso il proprio paese: una dichiarazione sincera, anche se disordinata e imprecisa, spesso poco matura e facilmente fuorviante a causa della foga da pasdaran di alcune rime; frutto però di un malessere e di una diffidenza reali, dovute alla precarietà economica e psico-fisica che egli stava vivendo in quel periodo (“il dottore dice che ho dei problemi e che devo curarmi” in Appeso a testa in giù e “la lista sulla mia cartella clinica è più lunga di quella sul mio curriculum” in Non Basta Mai). Questo lavoro ebbe il grande merito di riavvicinare il rap ai problemi reali del paese, quando altri membri della stessa scena musicale stavano virando verso tematiche quali soldi e donne. Inoltre, a livello stilistico, fu uno dei primi album italiani interamente registrato con l’autotune, adesso presente in qualsiasi disco hip-hop che voglia strizzare l’occhio al mercato.