Il viaggio, un tempo sinonimo di avventura, romanticismo e di una genuina volontà di scoperta, ha subito nell’ultimo secolo una trasformazione tale da cambiarne radicalmente l’essenza. Per quanto il mutare dei connotati stessi del viaggio (e del viaggiatore) sia una delle principali cause del cambiamento, la nostra epoca ha introdotto ulteriori fattori come voli low cost e Airbnb, realtà che consentono ora a milioni di persone di spostarsi e soggiornare in modo rapido ed economico.
Cosa significa perciò viaggiare nel 2018?
Al giorno d’oggi ciò che ci occorre per trascorrere qualche giorno in una fredda capitale del nord Europa o su un qualsiasi bagnasciuga spagnolo non è altro che qualche euro su una carta prepagata e un weekend libero. Ma effettivamente, cosa abbiamo prenotato? Nella realtà non ci siamo accaparrati altro che un posto a sedere su un aeroplano sovraffollato e gestito da un team di hostess sull’orlo di una crisi di nervi, saturo di individui che, tralasciando i pochi passeggeri di una inconsistente business class, hanno avuto la nostra stessa illuminazione. Quante volte ci è capitato di dover sorridere in maniera imbarazzata alla signora del 32B durante la visita guidata del museo di turno o di riconoscere la maggior parte delle facce sul volo di ritorno? Aggiungete un pernottamento in un Airbnb ben quotato su Tripadvisor, e la monotona semplicità del tutto non farà altro che riverberarsi inevitabilmente in un progressivo allontanamento da ciò che un tempo veniva correttamente definito viaggio.
La stessa etimologia della parola cela un significato ben diverso da quello che un “comodo” volo lowcost può lasciar intendere. Di mediazione provenzale e di base latina, viatĭcum, indicava appunto l’insieme delle provviste che il viaggiatore preparava per affrontare uno spostamento di giorni, data l’assenza di aree di servizio lungo la via.
Ma quale evento è stato in grado di segnare il destino di una così nobile attività? I lontani allarmismi dell’imminente declino venivano già avvertiti nei primi anni 50. Fu un saggio critico dello scrittore tedesco Gerhard Nebel a identificare per primo il principale indiziato nel caso dell’assassinio del viaggio autentico. Il ruolo del colpevole fu ben presto incarnato dalla nascita del turismo di massa. Lo stesso fenomeno che consentiva a centinaia di turisti di affollare le stanze del Louvre di Parigi e che contemporaneamente creava il tragicomico personaggio del turista-non-turista, appartenente all’autoproclamatasi categoria del turista di élite, che rifiuta tutto ciò che è turistico senza rendersi conto che nel turistico ci è immerso fino al collo.
La stessa figura del turista è ahimè ben lontana, cronologicamente e concettualmente parlando, da quella del viaggiatore. Nella maggior parte dei casi il turista, mosso dall’offerta online del mese della tale compagnia aerea, non viaggia più per indagare il mondo bensì per festeggiare, per sentirsi a casa in un altro porto o per staccare dal tran-tran della quotidianità.
Il viaggiatore si era guadagnato l’epiteto di “uomo di mondo” dal momento che era davvero in grado di tornare a casa con un pezzo di mondo dentro le tasche e sotto la suola delle scarpe. Ciò che il turista porta a casa ora non è altro che l’ennesima maglietta stampata di una capitale europea e qualche panoramica in HD sullo smartphone.
Amo, tuttavia, farmi cullare dalla consapevolezza che in realtà una categoria di viaggiatori autentici esiste ancora e si tratta di quella ristretta cerchia di persone veramente in grado di viaggiare, fisicamente e mentalmente, ma che soprattutto è in grado di dire di no.
Nel miasma attuale, il vero viaggiatore non è colui che vanta più bandiere attaccate sul retro del suo North Face, il vero viaggiatore è colui che rinuncia al weekend ad Amsterdam o a Valencia. Il vero viaggiatore oggi è colui che non spreca il viaggio. Il vero viaggiatore oggi è colui che non viaggia solo per il gusto e il vanto di poterlo fare.
Voi, cosmopoliti uomini di mondo, siate intelligenti: non fate i turisti.
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