Ogni opera torna a vivere nella mente di chi la ricorda. Lo sa bene il noto regista Luca Ronconi, un guru degli anni settanta, la voce fuori dal coro che non ti aspetti, il maestro che ha rivoluzionato il teatro italiano.
Tra le tracce dei più audaci esperimenti d’avanguardia, le regie del primo novecento, il futurismo e il rifiuto del testo, Ronconi a teatro decide per un ritorno alle radici.
Ciò che stupisce maggiormente è la capacità di analisi, la fedeltà allo scritto non tanto per la sua trama quanto invece per la sua logica più profonda, tradotta poi sulla scena attraverso un’innovativa concezione della comunicazione teatrale, tutta giocata tra la gestione dello spazio e l’indagine sulla ricezione del pubblico.
La letteratura che passa tra i suoi spettacoli ha il sapore del teatro greco, tra le tragedie di Euripide e le commedie di Aristofane, ma anche di contemporaneità con scritti ad opera di Pier Paolo Pasolini.
La lista sarebbe infinita, La buona moglie di Carlo Goldoni, Spettri di Henrik Ibsen, Tre sorelle di Cechov, ma oltre ai testi di prosa teatrale ciò che affascina di più sono le opere non nate per il teatro ma che grazie a Ronconi hanno la possibilità di vestirlo: Lolita, il romanzo di Vladimir Nabokov, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, o L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, caso particolarmente interessante per il suo passaggio dal poema alle scene.
L’Orlando di Ronconi fa il suo debutto il 4 luglio 1969 a Spoleto, per la XXII° edizione del Festival dei due mondi, con la veste teatrale creata da Edoardo Sanguineti.
Ma perchè scegliere proprio l’Ariosto?
Se da un punto di vista squisitamente teatrale la scelta ricadde sul Furioso per la sua logica d’intreccio (Ronconi avrebbe potuto così svelare il segreto dell’opera attraverso la simultaneità della recitazione) da un punto di vista prettamente letterario gli interessi possono essere diversi.
Comprendere quello che Sanguineti definisce il suo falso Ariosto comporta conoscere anche le radici profonde e nascoste del vero Ariosto. Infatti le pagine che videro la luce nel 1516 a Ferrara solo apparentemente poggiano su un sistema di valori epico-cavallereschi, percorse infatti da una continua ironia demistificatoria finiscono per allontanarsene drasticamente. Sarà proprio Hegel che avvicinando queste pagine a quelle del Cervantes le analizzerà utilizzando il termine romanzo, il che non stupisce se si pensa alla sua struttura e alla varietas tematica e concettuale che lo percorre.
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto.
Se con l’arme Ariosto si tiene legato e sicuro all’epos, con gli amori tende dolcemente verso la concezione di romanzo moderno, e proprio in questa antitesi sta la possibilità di gioco e di intreccio.
È anche vero però che questo prodotto letterario è lontano e vicino a tutto e a niente, è anche vero che la natura dell’Orlando è a tal punto moderna e a tal punto flessibile da riservare continue sorprese e molteplici chiavi di lettura.
Nella versione drammatizzata, infatti, i diversi piani narrativi con i quali Ariosto tesseva il suo poema hanno tutt’altra funzione. Gli innumerevoli affluenti della narrazione finiscono col diventare torrenti in piena che si gettano in mare aperto in totale autonomia. Un “anti-romanzo” novecentesco, un romanzo alla Italo Calvino di Se una notte di inverno un viaggiatore. Un labirinto di non certa risoluzione, o almeno non una sola.
Una volta sicuri della scelta inizia il cosidetto travestimento, termine molto discusso dallo stesso Sanguineti il quale tiene molto a definirlo come un atto puramente teatrale e non letterario, lontano dalle metafore e vicino invece alla scena. Questa premessa ci fa comprendere come, nel travestire le ottave di Ariosto, il dramaturg sia sempre e comunque stato dipendente nelle sue scelte dalla ricezione, tutta fisica, degli attori e del regista.
Tuttavia quel giovane Sanguineti che per la prima volta lesse l’Ariosto immaginò i noti paladini come dei cantastorie di un vecchio gioco medioevale e nel suo lavoro di riduzione, molti anni dopo, rimase molto segnato da questa particolare visione, come è evidente nel fondamentale passaggio dalla prima alla terza persona.
Riportiamo ad esempio un estratto dal copione.
Signor che voli, or guarda tu, qui, a basso,
Angelica legata al nudo sasso.
Angelica, legata ad uno scoglio in tutta la sua orgogliosa fattezza di donna ostile, racconta le vicende da lei stessa vissute. Angelica si declama, si osserva vivere, si narra, è protagonista e insieme autrice di se stessa, ma la processualità del racconto e l’incalzante stesura dell’Ariosto non verranno in questo modo perse. Nella realizzazione della veste teatrale di questi paladini impolverati Edoardo Sanguineti ha quindi tentato in ogni modo una depsicologizzazione radicale dei personaggi, ed è proprio con questa strategia, tutta grammaticale, che lo straniamento si fa ancora più forte e diventa il fil rouge dello spettacolo: l’immagine del personaggio si divide, vive davanti ad uno specchio e fa i conti con il suo doppio.
Inoltre come è facile intravedere nei passi sopracitati, Sanguineti non tenne conto dell’organizzazione strofica dell’ottava, anche considerando il fatto che il pubblico degli anni Settanta, lontano ormai dai tempi della poesia declamata, non era più abituato ad esercitare un controllo acustico a riguardo.
Il travestimento teatrale risulta in ogni caso ritmico, memore delle rime del verso quattrocentesco, e all’orecchio dello spettatore contemporaneo suscita un’atmosfera ricercata, magica e fuori dall’ordinario.
Questo straordinario prodotto artistico non è solo un mito nell’ambito teatrale, una svolta all’interno delle dinamiche della recitazione, un faro per registi e attori, ma è anche l’esempio di come un testo non abbia tempo, ma infinite vite e infinite possibilità oltre le sue pagine.
Longhi Claudio, L’Orlando Furioso di Luca Ronconi, BUR – RAI ERI, Milano, 2012.