Da 18 anni a questa parte, nel mese di febbraio migliaia di persone provenienti da tutto il mondo affollano l’altopiano roccioso su cui sorge la città algerina di Tindouf, al confine tra Marocco e Mauritania. Ad attirarle qui non sono dune, cammelli e oasi ma bensì i 200.000 profughi saharawi costretti a vivere nelle tendopoli di El Aaiun, Auserd e Smara a causa di un conflitto che dura da ormai 42 anni.
Un viaggio di solidarietà e speranza quello che viene organizzato dal governo della Repubblica Araba del Saharawi, un’esperienza per dare voce a un popolo dimenticato e maggiore risalto a una questione poco dibattuta a livello internazionale.
La travagliata storia del popolo saharawi inizia con il processo di decolonizzazione spagnola dei territori dell’odierno Sahara Occidentale. Con una dichiarazione tripartita tra Spagna, Marocco e Mauritania, il territorio veniva affidato a questi ultimi due attori. La decisione della Mauritania, nel 1979, di ritirarsi dai territori occupati nel nord del Paese sancirà poi l’inizio dell’occupazione marocchina dell’intera nazione. Anni di guerra, torture e maltrattamenti hanno costretto la maggior parte della popolazione saharawi all’esodo nel deserto algerino, dove tutt’oggi risiede. Nonostante i tentativi di mediazione del Consiglio di Sicurezza ONU e la dichiarazione, il 28 febbraio 1976, della costituzione della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD), l’occupazione illegale del territorio da parte delle forze marocchine continua silenziosamente ancora oggi.
La sua scarsa risonanza a livello internazionale ha così costretto i vertici della RASD ad escogitare un modo per dare nuova linfa al movimento di protesta della nazione saharawi e per portare all’attenzione della comunità internazionale le condizioni di vita a cui è costretta la sua gente: nel 2001 veniva organizzato il primo viaggio all’interno dei campi profughi di Tindouf.
Più che di un viaggio si tratta di un’autentica esperienza di vita in cui i partecipanti sperimentano in prima persona cosa significa vivere all’interno di un campo profughi. Suddivisi in piccoli gruppi di 4/5 persone, verranno ospitati per 7 giorni all’interno della tenda di una famiglia saharawi e accolti dal loro nucleo famigliare. Lì mangeranno, dormiranno e parteciperanno alla frenetica vita sociale di quella che è ormai diventata a tutti gli effetti una vera e propria città nel mezzo del deserto.
Chi partecipa avrà altresì la possibilità di conoscere meglio la storia e le tradizioni della loro popolazione ospitante, di visitare le scuole e le infrastrutture che ne permettono la sopravvivenza, nonché di dare una mano concreta nella realizzazione di progetti paralleli.
Inoltre due elementi ruotano attorno all’iniziativa e contribuiscono ad aumentarne la portata e la visibilità. Parallelamente all’esperienza di vita all’interno della tendopoli, ha luogo una maratona della durata di 42 km – numero quest’anno ancor più significativo – che attraversa il deserto algerino collegando i 3 campi profughi di El Aaiun, Auserd e Smara. Si tratta di una manifestazione sportiva che ha sempre più guadagnato notorietà all’interno del panorama dell’atletica leggera e ora in grado di attirare atleti di fama internazionale come Martin Fiz, Abel Anton e il nostro Giorgio Calcaterra. Percorsi articolati su un kilometraggio inferiore (21, 10 e 5 km) permettono poi ai meno allenati e agli amatori di vivere comunque l’esperienza della corsa nel deserto.
Il secondo elemento pone invece l’accento sul periodo dell’anno in cui l’iniziativa si svolge: il 28 febbraio, giorno delle premiazioni dei vincitori della maratona, coincide difatti con l’anniversario della nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica; l’accurata scelta del periodo è quindi in grado di dare un risalto decisamente diverso alle celebrazioni della festa nazionale del popolo saharawi.
Per la diciottesima volta, il deserto algerino si è riempito di berretti colorati e scarpe da ginnastica, pervaso dalla solidarietà di un’iniziativa che costituisce oramai un sostegno più che concreto ad un percorso intrapreso più di quarant’anni fa.
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