Il Regno Unito è storicamente pioniere dell’avvenire musicale ma al capolinea dei sixties, dopo aver stravolto le classifiche mondiali con la prima “British Invasion“, si dimostrò anche un avido cultore dello stallo temporale.
Le sale da ballo dell’Inghilterra anni ’60 erano gremite di giovani adepti della sottocultura mod: abiti sartoriali italiani, acconciature pomatate, ampi parka, Vespe e Lambrette come mezzo di trasporto e soul e rhytm and blues nelle vene. Il movimento “Northern Soul“ è la paradossale evoluzione dalle radici mod, abbreviazione di “modernista” in quanto cultura aperta alle nuove mode provenienti dagli Usa, ad un’autentica adorazione del vivace soul anni ’60 stile Tamla Motown, musica già fuori moda in madrepatria. Il termine deriva dall’area geografica in cui si diffuse, il Nord e le Midlands, e venne coniato dal giornalista musicale Dave Godin che allora possedeva un negozio di cd.
“I had started to notice that northern football fans who were in London to follow their team were coming into the store to buy records, but they weren’t interested in the latest developments in the black American chart. I devised the name as a shorthand sales term: Northern Soul”
Stilisticamente parlando, l’unico accessorio che distingueva i giovani fan del soul dai mods era un guanto nero spesso indossato per non scivolare sulla dance floor durante l’esecuzione delle mosse acrobatiche che caratterizzavano le scatenate danze anfetaminiche (non solo in senso figurato, il binomio ballo-anfetamine era molto diffuso nei club) al martellante e sfrenato ritmo soul. Un trip solitario e al contempo condiviso in pista.
Il revival spinse le etichette simil-Motown a sfornare un quantitativo enorme di singoli, anche scadenti, con la speranza che diventassero hit. Questa iper-produzione di genere permise al movimento di perpetrarsi virtualmente in eterno.
I dj che animavano la scena si nutrivano di queste nuove canzoni ma soprattutto di “nuove canzoni vecchie“, chicche dimenticate, spesso di scarsa qualità, lasciate in scatoloni impolverati per anni e riscoperte per richiamare gli “animali notturni” in continuo pellegrinaggio tra le discoteche che proponevano i dischi più insoliti. L’unico modo per ascoltare un LP era recarsi al club che lo possedeva, ciò sfociò in un’autentica faida tra i dj che prevedeva anche colpi bassi come le tecnica del “cover-up“: ritagliare l’etichetta di un disco e sostituirla con una diversa per depistare le ricerche. Questa incessante ricerca di rarità e B-sides finì per rendere la Motown stessa, promotrice originale del sound, troppo “mainstream” per le dance floor.
Il Northern Soul, esattamente come il Mod, fu una stravaganza della working class bianca britannica sulla “blackness” americana e, come ogni revival, vide il suo declino pochi anni più tardi (sebbene alcuni irriducibili resistano ancora oggi, sempre fedeli allo slogan del movimento), lasciandoci con un ultimo straordinario colpo di coda: gli artisti originali dei pezzi si ritrovarono a sorpresa ad essere venerati oltreoceano e molti vennero invitati ad esibirsi nei locali appagando i loro abbandonati sogni di gloria.
Per chi volesse conoscere meglio i sound che fece saltare e battere le mani ad un’intera generazione, Dave Godin ha realizzato una compilation di 4 Cd contenenti rarità e classici soul tra cui Mike post coalitions, Dobie Gray, Yvonne Baker e molti altri: “Dave Godin’s Deep Soul Treasures: Taken From The Vault“, pubblicata dalla Kent Soul.
- Simon Reynolds “Retromania” (Isbn Edizioni, 2011)
- Dick Hebdige “Sottocultura: Il significato dello stile” (Meltemi editore, 2017)
- The Guardian