Loving Vincent, diretto da Dorota Kobiela e Hugh Welchman, è un film d’animazione che vede il lavoro di un team di oltre 100 artisti per la sua realizzazione: dietro quei novanta minuti di pellicola, una durata dunque neanche eccessiva, si nascondono un sudore e una fatica immensi, spesi per portare a termine questo grande lavoro. Candidato agli Oscar 2018 per la statuetta di miglior film d’animazione, si contende la supremazia nella sua categoria con l’acclamato e applaudito Coco. Quest’ultimo, che con il suo colore, la sua simpatia, la sua emozione ed una colonna sonora che annovera tracce orecchiabili e ben scritte, ha già conquistato i cuori di moltissimi spettatori e certamente non lascerà la vittoria al rivale senza prima aver venduto cara la pelle. Loving Vincent, dunque, ha le carte in regola per portare a casa l’ambito premio?
La risposta non può sicuramente essere univoca: sebbene siano entrambi film di animazione, è facile vedere come le due pellicole abbiano ben poco in comune a parte questo primissimo tratto. Dalla tecnica di realizzazione alla vicenda trattata, dalle emozioni che intendono suscitare ai diversi fini verso cui tendono, le due strutture che fanno da spina dorsale ai due candidati sono estremamente peculiari. Ciò nonostante, uno sguardo più approfondito non potrà non far emergere un’evidente verità, che consiste nella sostanziale originalità rischiata da Loving Vincent, contro un più facile atteggiamento di recupero di schemi narrativi già usati, collaudati e, se è lecito, ormai pesanti e pedanti effettuato da Coco.
Se questo non danneggia (nei limiti, almeno) la fruizione di Coco, è quantomeno una spia ferma ed ineliminabile del coraggio preso a due mani dai creatori di Loving Vincent. Sicuramente Vincent Van Gogh, come uomo e artista, è già stato esplorato e raccontato in moltissime salse diverse, attraverso film, serie televisive, passando per la letteratura e concludendo infine con la musica, e questo scalfisce leggermente quel monolite di originalità e coraggio che poco fa era stato dedicato all’opera Loving Vincent. Tuttavia, appena iniziata la visione del film, le sorprese non tardano ad arrivare.
Dopo i primi minuti, necessari per abituare i propri occhi all’estasi provocata dalla visione dei dipinti animati, tratteggiati con l’inconfondibile stile di Van Gogh, ha inizio la sinossi: le vicende hanno luogo dopo il suicidio del grande pittore, e vedono come protagonista Armand Roulin, un giovane ragazzo irascibile e incostante ma che ha il dono dell’adattamento. Il giovane si ritrova tra le mani una lettera, scritta da Vincent e indirizzata al fratello Theo; il compito di Armand sarà dunque quello di portarla al suo destinatario originale, attraverso un viaggio di ricerca di se stesso e della verità che si cela intorno alla personalità dell’artista, e della verità che si nasconde riguardo agli ultimi giorni di Vincent.
Questo è, quindi, un altro elemento nuovo del film: coraggiosa non è soltanto la scelta e realizzazione stilistica, ma anche il soggetto stesso della pellicola, che è incentrato sulle vicissitudini e le indagini di un giovane uomo lontano dagli eventi normalmente raccontati riguardo alla vita di Vincent Van Gogh.
Andando oltre lo stile e il soggetto si arriva a parlare del film, e non possono che essere spese parole di elogio. Ogni personaggio viene caratterizzato a dovere, senza mai risultare noioso o banale. L’indagine sugli ultimi giorni del pittore si sviluppa in modo mai inutilmente intricato, eppure nemmeno banale: Armand insegue una verità che sembra continuamente sfuggirgli, tra persone che parlano e persone che mentono, confermando o fuorviando la scia di indizi. Raccontati con un ritmo concitato e incalzante, gli eventi si susseguono con rapidità sempre maggiore lasciando molto spazio all’emotività e alla compassione umana.
Ciò che colpisce maggiormente, infine, è il fatto che pur comparendo relativamente poche volte all’interno del film, Vincent riesca a rimanere il protagonista indiscusso: ogni luogo, evento, dialogo, persona che ne parla, tutto è funzionale ad aggiungere un tassello che racconta un angolo in più della poliedrica personalità dell’artista, un uomo dai tanti problemi, ma soprattutto dalle infinite capacità.