La disponibilità di contraccettivi gratuiti, erogati a carico del Servizio Sanitario Nazionale, è condizione necessaria per assicurare il diritto alla procreazione responsabile, con ricadute importanti sulla salute delle donne. Nel nostro, a differenza di altri Paesi europei, come la Francia, il Belgio e la Germania, la contraccezione è interamente a carico delle cittadine e dei cittadini, salvo rare iniziative locali.
Così si apre la petizione indirizzata al direttore Generale AIFA Mario Melazzini e al ministro della Salute Beatrice Lorenzin e promossa dal Comitato per la contraccezione gratuita e consapevole, costituito da un gruppo di ginecologi. L’obiettivo è raggiungere 50 mila firme, così da far giungere la voce dei cittadini ai membri del governo, per rendere noto loro che, nel caso non lo sapessero, in Italia la contraccezione ha raggiunto prezzi insostenibili per le donne, e per gli uomini, italiane.
Le malattie a trasmissione sessuale non sono in calo, al contrario: la Clamidia è tra le prime cause di infertilità e l’AIDS continua relativamente indisturbato a diffondersi, nell’ignoranza quasi totale dei giovani. Allo stesso modo la paura per le gravidanze indesiderate continua ad essere motivo di preoccupazione per giovani e non: sarà anche vero che gli aborti sono diminuiti, ma tali dati non tengono ovviamente conto di tutte quelle gravidanze prevenute attraverso la contraccezione di emergenza, come la cosiddetta pillola del giorno dopo, cui molte donne sono costrette a ricorrere non potendo (o non volendo) permettersi alcun metodo contraccettivo.
Perché l’Italia, come scritto nel testo della petizione, è il paese con i prezzi più alti.
Pillole, cerotti, spirale, profilattici (maschili e femminili), anelli, non esiste un solo metodo contraccettivo che sia gratuito, soprattutto da quando, nel 2016, le ultime pillole ancora gratuite sono passate dalla categoria A alla C, divenendo dunque a pagamento. Diversa la situazione negli altri paesi europei, dove i contraccettivi possono invece essere a carico dello Stato.
Molte e molti giovani si trovano nella condizione di non potersi permettere a livello economico il prezzo dei contraccettivi, così come molte donne adulte, che si vedono a volte costrette, nei casi più drammatici, a ricorrere a delicati interventi di isterectomia, non potendo permettersi il mantenimento di un eventuale figlio nè il prezzo di un contraccettivo.
Il problema ovviamente non riguarda solo ed esclusivamente le donne, in quanto gli stessi profilattici hanno un prezzo non irrisorio, ma lede il diritto delle donne di scegliere con la dovuta libertà il metodo contraccettivo a loro più congeniale, a livello sia psicologico che fisico.
La concreta difficoltà di regolare la propria fertilità, programmando e distanziando adeguatamente le gravidanze, ma anche la scelta obbligata del contraccettivo meno adatto, hanno un evidente impatto negativo sulla salute fisica e psicologica di queste donne, accentuando ulteriormente i loro problemi economici e sociali
Cosi parla Marina Toschi, vicepresidente di Agite (Associazione Ginecologi Territoriali) e portavoce del Comitato promotore dell’iniziativa assieme a Pietro Puzzi, ginecologo ospedaliero per 33 anni e oggi dedito all’attività nei consultori lombardi.
Ovviamente non si pensa di liberalizzare la distribuzione dei contraccettivi, la cui prescrizione passerebbe ugualmente attraverso medici di famiglia e consultori. Il doppio vantaggio di tale proposta consisterebbe nel favorire così anche l’accesso alle informazioni necessarie per una corretta e sana vita sessuale, al giorno d’oggi totalmente assenti all’interno dell’istruzione scolastica e lasciate dunque in mano alle famiglie, se non addirittura agli stessi giovani.
In un paese dove le malattie a trasmissione sessuale sono in aumento, dove i giovani ignorano anche le basi minime della sessualità, dove l’aborto è gratuito, dove l’uso della contraccezione di emergenza è l’unico motivo alla base del calo di aborti, è inaccettabile che il prezzo dei contraccettivi ricada interamente sui cittadini.