Avrà anche la testa a 2640 metri dal mare, ma nel suo nuovo disco Francesca Michielin appare tutt’altro che distratta. Un lavoro studiato nei minimi dettagli, dalle collaborazioni ai progetti collaterali, fino alla scelta dei singoli di lancio, che hanno anticipato le diverse anime dell’album. L’avevamo già inserito tra i consigli del mese, oggi ve lo raccontiamo più a fondo.
2640 deve il suo nome all’altitudine di Bogotà, una delle capitali più alte del mondo (ben 2640 metri sopra il livello del mare), dove la Michielin sarebbe voluta scappare invece di scrivere il nuovo album e dare esami al conservatorio e dove invece è volata solamente la mente, riportando su carta il desiderio di fuggire e spaziare alla scoperta del nuovo.
E’ un disco leggero, dove per leggerezza non si intende assenza di contenuti, ma freschezza. Francesca ha 23 anni e ha scritto 11 canzoni sulle 13 contenute nell’album. Canta di sé, d’amore, di indipendenza, di passioni e di sport, il calcio e la formula 1. Lo fa con i riferimenti e le nostalgie della sua età, con le parole e l’urgenza che ricordano il mondo dell’indie, non a caso nelle fasi di scrittura ha collaborato con nomi come Calcutta, con cui ha scritto Io non abito al mare e Cosmo, che l’ha aiutata ad arrangiare Tapioca, campionando una canzone tradizionale ghanese. A fare da contrappeso al tutto, la produzione di Michele Canova, che lei stessa definisce un maestro del pop e del mainstream. Un disco volutamente a metà, quindi, che non ha paura di confrontarsi e comunicare con entrambi i mondi, rimanendo aperto a contaminazioni e stimoli.
3, il numero perfetto
Un disco che segue tre filoni principali, rappresentati in copertina da triangoli di colori diversi: rosso come un vulcano (e mille altre cose), per indicare la necessità di una comunicazione immediata e senza filtri, esplosiva; blu come il mare, che rappresenta l’attitudine all’ascolto, e infine verde come una montagna, dalla cui cima è possibile osservare e immaginare il panorama sottostante. Comunicazione, ascolto e immaginazione. Rosso, blu e verde, che sono stati ripresi anche nella scelta dei brani di lancio dell’album: Vulcano, Io non abito al mare e infine Tropicale, disponibile con il pre order del disco.
Un disco immediato, che le sta bene addosso. Le dà quel tocco di carattere che già aveva iniziato a costruirsi con di20are, ma che con 2640 inizia a delinearsi come tratto distintivo, se non altro rispetto alle figure femminili italiane sulla scena in questo momento. Ancora non del tutto convincente quando lo racconta, ma perfettamente a suo agio mentre lo canta, Francesca Michielin alle presentazioni alterna strumenti digitali e analogici, facendo sfoggio di chitarre, bassi, pianoforti, tamburi e pad, mossa che a qualcuno è sembrata un po’ tracotante, ma del resto, se ne è in grado, perché no?
Progetti collaterali
Perfettamente allineati con il carattere del disco i progetti collaterali che la Michielin ha lanciato in prossimità dell’uscita dell’album. Le cartoline idealmente inviate, tra gli altri, a Elisa, Coez e Jovanotti per promuovere Io non abito al mare riprendono il vintage di Noleggiami ancora un film, con rimandi a squilli, walkman e musicassette. La collaborazione con Treedom, che prevede venga piantato un albero in una foresta del Kenya ogni 200.000 streaming del disco, conferma l’attenzione all’ambiente e all’etica di Bolivia e infine il personaggio di Livia Boh, alterego hipster di Francesca, svampita quanto basta da perdersi e farsi ritrovare ad ogni in store.
Al momento, insomma, nulla sembra lasciato al caso. Ora non resta che attendere i live, che da Marzo porteranno 2640 in giro per l’Italia, perché, come ha detto Francesca, questo disco
Si assaggia, si piange, si incazza, si sussurra all’orecchio, si tifa allo stadio, ma non sta zitto, mai.