Ad ogni epoca anche la sua crisi, è normale, quasi giusto. Ma dalla crisi si deve pur uscire, e come tale la si deve vedere. Quella del post-modernismo sta ingannando un po’ tutti. Da un lato il gioco della citazioni e dei rimandi ha creato una catena possibilmente infinita, che non ha nessun motivo per terminare. Dall’altro il suo attacco al canone e l’assunzione della cultura di massa come nuovo orizzonte ne sta garantendo un inattaccabile successo. Ogni poetica ad un certo punto esaurisce ciò che ha da dire, è naturale. E il post-moderno non ha mai avuto niente da dire, è lui stesso ad asserirlo. Paradossalmente sarebbe bastato un solo film o romanzo post-moderno per risolverne la ricerca. Ed invece sono quarant’anni ci siamo invischiati. E ora diciamolo pure, siamo in una palude. Non sappiamo nemmeno più contro cosa si muovesse o perché, lo reiteriamo perché è diventato l’unico orizzonte nel quale siamo in grado di muoverci.
New Italian Epic di Wu Ming, ormai celebre collettivo di scrittori nato a Bologna sotto un altro nome, oggi abbandonato, affronta proprio questo problema. Nell’edizione einaudiana troviamo raccolti diversi saggi scritti nel tempo da Wu Ming 1 e Wu Ming 2, sulla questione. Il loro studio parte dall’individuazione di una nuova tendenza nella letteratura italiana, definita appunto New Italian Epic, e individua nel tentativo di rispondere alla crisi del post-moderno uno dei principali agenti scatenanti. Soprattutto a partire dal secondo saggio, Noi dobbiamo essere i genitori, ragioneremo in questa sede. L’autore post-moderno si vedeva orfano. Ha smesso di ribellarsi ai genitori, come nei precedenti avanguardismi, e ha semplicemente deciso di non averne. Si è detto orfano da sé. Ma orfani hanno continuato a generare orfani, in una spirale discendente troppo profonda per permettere anche solo di vedere chi fossero i genitori un tempo rifiutati. Così però non si può continuare: Il problema del postmodernismo è che ha generato un esercito di seguaci e imitatori, e presto si è ubriacato di se stesso. Il postmodernismo è una grande sbronza, una sbronza, generale, ma a un certo punto basta. Basta dirsi orfani, vittime senza più carnefici da incolpare. Noi dobbiamo essere i genitori, i capostipiti, i nuovi fondatori.
Noi dobbiamo essere i genitori è un saggio illuminante. Attiva una ridda di pensieri presenti in ognuno di noi che aspettavano solo qualcuno che li mettesse in riga e gli desse un nome. Ok la crisi dei valori, degli assoluti, del soggetto. Ok la fine delle grandi narrazioni. Ok la morte dell’autore, di Dio, di Marx, di Nanni Moretti. Ok tutto, davvero, ma adesso ci sentiamo chiamati in causa. Sarebbe bello ballare anche noi sulla macerie della Storia, ma ripeteremmo le stesse mosse di altri pensate da altri. Ai giovani scrittori di oggi non rimane niente da distruggere, mandare in pensione o uccidere. E se nel caos generale tutto sembra vacuo e illusorio, a maggior ragione siamo chiamati in causa. Il compito è quello di ri-attualizzare, ricostruire, ricominciare a vedere. In modi nuovi e migliori, che possano perdurare e non perdersi alla prima sbandata. Ciò che mi preme è trovare nella letteratura di oggi un diverso approccio etico allo scrivere, oltre il disincanto di ieri. Etica e non più disincanto, un grave compito, che non possiamo declinare per sempre. Più attendiamo e peggio sarà, saremo sempre più a fondo in questa palude di disimpegno e rinuncia.
Noi dobbiamo essere i genitori è uno di quei saggi che restituisce il coraggio che abbiamo ceduto in tutti questi anni. Di quelli che fa venire ancora una volta voglia di usare il proprio ardore di giovani per trovare un senso al tutto, che magari serve di nuovo.