Sehnsucht: la malattia del doloroso bramare.
Termine chiave che incarna in sé un concetto cardine della cultura romantica tedesca del VIII – XIX secolo, e che può aver visto i volti di tutte le epoche e culture, in quanto denso di sensazioni a cui un nobile essere umano non può sottrarsi.
Sehnsucht è così definita “malattia”, in quanto caratterizzata da uno stato d’animo misto tra la nostalgia, la bramosia (nonché desiderio ardente nel raggiungere una cosa, un ideale o una persona), ed il derivante struggimento che la mancanza dell'”oggetto del desiderio” può innescare al suddetto melanconico. Non siamo sicuramente di fronte ad un’emozione da idealizzare e romanticizzare: non si esclude infatti che in taluni casi, questa forma di stato d’essere possa assumere tratti patologici e psichici, sino a raggiungere un vago o compunto desiderio di morte.
Il pittore tedesco Caspar David Friedrich seppe rendere (sempre in modo limpido ed impeccabile) i più alti stati d’animo dell’uomo tramite attente vedute naturalistiche, tra cui quello ivi descritto.
Nato nel 1774 nella vecchia Pomerania svedese, a Greifswald, divenne poi col tempo uno dei più rinomati e rappresentativi pittori romantici di paesaggio simbolico.
Si distinse a partire dal 1805, in occasione di un concorso a Weimar, bandito e diretto nientemeno che da Johann Wolfgang von Goethe. Concorso però compromesso (da una sequela di pittori non così validi) e a cui solo Friedrich seppe ridare prestigio, salvando per di più il celebre direttore, che proprio “in virtù” di tale concorso, si vedeva danneggiare gradualmente la propria reputazione artistica.
Ciò che ristabilì le sorti del Goethe fu quindi un eccezionale quanto inaspettato talento pittorico, cui l’istituzione di Weimar non soleva ospitare da molto tempo:
Dobbiamo lodare l’intraprendenza che l’artista ha infuso in questo quadro. Il disegno è ben fatto, la processione è geniale e opportuna. Quest’opera unisce una grande quantità di fermezza, diligenza e pulizia, anche l’acquarello – geniale – è degno di lode.
– Goethe
Estro pittorico, determinazione, fermezza, equilibrio… caratteristiche che tuttavia Friedrich da sempre integra ad un volto meno sereno e limpido della sua vita.
Tornando alla luce del sentir proprio dell’età romantica, è indubbio che il pittore abbia racchiuso nei suoi paesaggi soprattutto un’aura profondamente malinconica, si dice originata e influenzata dai tragici eventi da lui vissuti in passato. Molte morti segnarono difatti la sua infanzia: dapprima la madre, ed in seguito si ritrovò gradualmente – dai nove di partenza – con sei fratelli.
Un ricordo d’infanzia particolarmente incisivo per l’artista fu l’evento in cui andò a pattinare col fratello minore, in cui, a causa di una crepa sulla lastra di ghiaccio, lo stesso Caspar si ritrovò nell’acqua gelida, dove accidentalmente il fratellino annegò per salvarlo.
Questo e i non pochi episodi drammatici a cui assisté matureranno in lui una profonda consapevolezza sulla presenza della morte nell’umanità e nella natura.
Il rapporto uomo-natura è difatti il fulcro del suo operato, e viene concepito come una riflessione coscienziosa sulla pura e interiore condizione umana.
Attraverso un paesaggio, l’artista ritrova uno spazio di quiete e conforto, e vi rappresenta pertanto il protendersi dell’animo verso un qualcosa di indefinito, ma a cui si affida ligio nel trovare risposte alle sue interminabili e insolute domande.
Dinanzi questo sentimento, lo spettatore non può far altro che identificarsi, altresì per mezzo di una “Rückenfigur”, ovvero di una figura umana che ci dà le spalle, con la funzione di metterci in condizioni di scorgere il suo stesso punto di vista nella contemplazione del sublime in natura. Natura che però non trova un riscontro verosimile con la realtà fenomenica: i paesaggi rappresentati, infatti, sono espressione interna all’artista, un ricordo, o un’alterazione emozionale sul primario elemento concreto e tangibile.
Così facendo, le ambientazioni naturalistiche (da notare, bidimensionali) che vediamo, non sono altro che un’osservazione di una data realtà, poi modificata e reinterpretata più accuratamente dalla propria introspezione personale.
Il pittore non dovrebbe dipingere solo ciò che vede davanti a sé, ma anche ciò che vede dentro di sé.
Se dentro di sé non vede nulla, allora eviti anche di dipingere ciò che vede davanti a sé.
– Caspar David Friedrich
E ciò che il pittore vede dentro di sé sono sovente “cieli infiniti, tempeste, nebbia, foreste, ruderi e croci”, da associarsi, oltre che al suo pensiero ideologico, al suo stato depressivo che lo sorprese in frequenti periodi della sua vita, affliggendolo in particolare verso gli ultimi anni.
Tali ambientazioni furono (e sono) il riferimento figurativo dell’immaginario naturalistico letterario di importanti romanzi, come I dolori del giovane Werther (1774) del prima citato Goethe e Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1802) di Ugo Foscolo, cui entrambi rievocano l’inevitabile sorte amorosa sfavorevole nei personaggi principali.
Tanto è vero che il pittore romantico fermamente intravede nell’amore uno scenario tragico al pari della morte, rammentando i tormenti del concetto stesso di Sehnsucht. In questa prospettiva, i dipinti raffiguranti coppie non parlano di amanti, bensì di persone unite nella consapevolezza dell’inesorabile caducità dell’esistenza e della piccolezza dell’uomo davanti al Sublime.
Ma al contrario di quanto i più possano pensare, le sue tele non sempre si sono limitate ad accogliere i soliti colori cupi e i tetri paesaggi: nel 1818, all’età di 44 anni, Friedrich si sposò in segreto con una ragazza di umili origini, Caroline Bommer, con la quale passò un periodo piuttosto roseo e felice, avendo poi con lei tre figli. Caroline gli regalò così uno spiraglio di luce e serenità, cui la sua produzione dalle cromie lievi e luminose ne fu la conseguenza.
Possiamo scorgere, ad esempio, un nuovo e crescente senso di leggerezza nel dipinto Le bianche scogliere di Rügen. Ma soprattutto, è proprio risalente a questa stagione il famosissimo Viandante sul mare di nebbia, manifesto in rappresentanza al movimento pittorico romantico.
E ancora, Sul Veliero è forse l’opera più ottimista e spensierata della carriera di Friedrich, dipinto subito dopo le nozze. Anche qui siamo di fronte a un quadro pressoché autobiografico, in cui il pittore si ritrae nella sua interiorità (qui più giovane e temerario di quanto non lo sia nel reale), tenendo per mano la moglie, coi cui condivide fiducioso la veduta all’orizzonte.
Eppure, l’artista conserva anche in questo contesto la sua dose di drammaticità e angoscia per la condizione umana: egli sa bene che quell’ebbrezza leggiadra rappresenta solo un respiro fugace e soggetto ad esaurirsi, a cui non potranno che seguire tempi infelici e solitudine.
Ma ecco che al suo tipico rammarico, si aggiunge ora un pensiero nuovo e lieto. La svolta positiva sta proprio nella sua seguente riflessione:
“Ma perché non dovrei abbandonarmi a questo zefiro lieve, a questo meriggio inatteso e chiaro?
Perché non dovrei farlo, in queste ore fuggevoli, prima di giungere in porto?”