Il ‘900 russo fu per la poesia un’età d’oro, o per usare le parole della critica letteraria, il secolo d’argento. In questa serie di articoli ci occuperemo di alcuni dei principali esponenti di questo periodo particolarmente prolifico per la poesia: Aleksandr Blok, Anna Achmatova, Vladimir Majakovskij, Marina Cvetaeva, Osip Mandel’štam, Boris Pasternak.
Aleksandr Aleksandrovich Blok (San Pietroburgo 1880 – 7 agosto 1921) è il più grande esponente del simbolismo russo e uno dei poeti russi più importanti di tutti i tempi. La sua produzione è vastissima e abbraccia molte tematiche; in questa sede ci concentreremo sul rapporto che Blok aveva con la propria patria, e per contrasto, sulla sua esperienza di vita in Italia.
Nel 1909 aveva deciso di compiere un viaggio nella nostra penisola insieme alla moglie Ljuba, seguendo il solco della tradizione ottocentesca del “viaggio in Italia”, compiuto da molti intellettuali dell’epoca. Egli decide di recarsi in Italia innanzitutto per appianare i dissidi con la moglie e in secondo luogo per allontanarsi dall’opprimente clima politico russo: nel 1905 si era verificata la prima rivoluzione russa e in essa Blok aveva visto i segnali di una catastrofica e messianica punizione universale; inoltre aveva deciso di allontanarsi dall’ideologia simbolista e dalla sua cerchia di amici letterati che aveva sede a San Pietroburgo.
Tuttavia la sua esperienza in Italia (raccolta ne I versi italiani) non fu delle migliori: Blok vedeva in essa una terra in cui è impossibile vivere: è un paese antilirico – non c’è vita, c’è solo arte e antichità. Egli rimane quindi deluso dall’Italia: si aspettava di trovarvi il paese idilliaco descritto nei libri, invece esso è (un po’ come tutti i paesi europei nella stessa epoca) in corsa verso la civilizzazione e la modernità. Questa impressione negativa si riflette nella poesia Firenze (di seguito se ne riporta un estratto):
Muori, Firenze, Giuda,
svanisci nelle tenebre dei secoli!
Ti scorderò nell’ora dell’amore,
non sarò con te nell’ora della morte!
O bella, deridi te stessa,
hai perduta l’antica leggiadria!
Da una putrida grinza sepolcrale
sono alterate le tue fattezze!
Ansano le tue automobili,
mostruose sono le tue case,
alla gialla polvere d’Europa
tu stessa ti sei consegnata!
O, mia Rus’! Sposa mia! Fino al dolore
ci è chiaro il lungo cammino!
Il nostro cammino come la freccia tatara dell’antica libertà
ci ha trafitto il cuore.
La nostra strada è nella steppa, nella sconfinata angoscia,
nella tua angoscia, o Rus’!
E persino la tenebra, notturna e straniera,
io non temo.
Tra due case
Una fune si tende.
Sulla fune – un cartello:
“Tutto il potere alla Costituente!”
Una vecchia piange – ahimé,
Non capirà mai perché
C’è quel cartello.
Che spreco con quel telo –
Quante pezze per i piedi dei ragazzi,
Spogliati e scalzi
Fonte 1
Fonte 2
Aleksandr Blok, I dodici – gli sciti – la patria (a cura di Eridano Bazzarelli). Bur, 1998.
Aleksandr Blok, Nel cielo nero d’Italia (a cura di Marilena Rea). Passigli, 2016