“Quella volta che a Sanremo…”, Andrea Mirò racconta il Festival

Abbiamo tutti un artista del cuore, quello che ci è capitato un giorno per caso e non se n’è mai andato; quello la cui musica ci piace così tanto che non è più solo musica. Ecco, immaginatevi nella sua cucina a intervistarlo.

Andrea Mirò, all’anagrafe Roberta Mogliotti, ha vissuto il Festival di Sanremo in tutte le vesti possibili, le manca solo la conduzione. Dalle prime partecipazioni nei giovani, prima come interprete, poi come cantautrice, fino alla partecipazione tra i tra i big insieme ad Enrico Ruggeri, è tornata più volte all’Ariston per dirigerne l’orchestra o nella giuria di qualità. E’ un’artista che quel palco lo conosce bene e l’abbiamo incontrata per farcelo raccontare.

La prima volta che sei stata a Sanremo era nell’ 87, ci sei tornata molte altre volte fino al 2015, tra partecipazioni in gara, direzioni d’orchestra e giuria. Com’è cambiato?

Tantissimo. Un altro spettacolo, un altro lavoro. Prima di tutto è cambiato il mondo della discografia, quindi anche Sanremo. Televisivamente parlando, è uno show variegato. Questo fa sì che la musica sia sì in primo piano, ma sempre con i canoni televisivi. Non si tratta di performance libere, bisogna considerare che ci sono milioni di spettatori a guardarti e commentare sui social, ma sono stati comunque fatti passi avanti. Fino agli inizi degli anni ’80 Sanremo prevedeva ancora il playback. Poi si era ritornati a cantare dal vivo su base registrata e negli anni ’90 è stata finalmente reintrodotta l’orchestra. Eseguire il pezzo dal vivo è un’altra cosa, anche se con il live c’è sempre il rischio di qualche inconveniente, che del resto c’era anche con le basi, perché capitava che sbagliassero nastri.

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Un altro rischio dell’orchestra è che ci possono essere pezzi che, per come sono stati scritti, non la prevedono. Lì bisogna cercare soluzioni che assecondino il brano. L’anno in cui ho diretto Andrea Nardinocchi, aveva un brano particolarmente elettronico e abbiamo fatto fare agli archi una nota fissa, sostituendo quello che avrebbero fatto i pad, è stato un esercizio divertente. Un’altra differenza è che allora il vincitore non era per forza quello che avrebbe venduto di più.

Adesso è così?

Forse non a livello di vendite, ma dal punto di vista di comunicazione e visibilità, oggi fa molto effetto aver vinto. Fortunatamente ci sono dei progetti che riescono ad ottenere visibilità anche senza la vittoria. Ermal Meta l’anno scorso si meritava anche più del suo terzo posto e infatti fuori sta andando molto bene. Lui ha combattuto molto per essere dov’è e sta raccogliendo i frutti. Quest’anno con Fabrizio Moro rischia di brutto di vincere.

Un’altra differenza è il rapporto con le radio. Quando ho fatto Sanremo io, erano loro a pregarti di portare il 45 giri, oggi è il contrario. Sono le case discografiche che chiedono di mandare i cantanti in radio. D’altronde sono loro a passare le canzoni, quindi hanno il coltello dalla parte del manico. E’ cambiata anche la tipologia delle canzoni che vengono presentate, una volta il “pezzo da Sanremo” aveva crismi completamente diversi.

Tra le canzoni che hai portato ce n’erano alcune con temi importanti, ad esempio Nessuno tocchi Caino, sulla pena di morte. In questi casi al Festival passa davvero il messaggio o c’è il rischio che si diventi retorici?

Dipende da te. Se la canzone regge un peso del genere non c’è questo rischio, spesso ci sono canzoni con dei testi un po’ forzati solo per avere un tema di cui far parlare.

In questi casi si parla effettivamente del tema o si parla del fatto che il personaggio abbia portato un tema?

E’ quella la differenza. Nel nostro caso non saprei risponderti. Non volevamo andare a Sanremo. L’ufficio stampa ha fatto ascoltare il pezzo a Baudo e lui ci vide già proiettati al Festival. Il problema era che, essendo anche una coppia, non volevamo fare Albano e Romina che cantano contro la pena di morte, quindi ci siamo fatti un esame di coscienza per giungere alla conclusione che l’importante era che se ne parlasse, non importava dove. In quel caso la stampa non era molto preparata. Perché il messaggio passasse di più abbiamo portato un ex condannato a morte, Leroy Orange. Ha passato 19 anni nel braccio della morte e la sua sentenza veniva regolarmente rimandata, ogni volta ultima cena, preparazione e alla fine come non detto. Reiterato così per anni, che equivale a morire cento volte. Qualcuno si ricorda che abbiamo portato lì un condannato a morte? Nessuno.

Per questi argomenti cammini sul filo del rasoio e bisogna essere bravi a scrivere. Il rischio di scivolare però non significa che a Sanremo vadano portate solo le solite canzoni. Ad esempio quest’anno tra i giovani la canzone di Mirkoeilcane è uno schiaffo in faccia, il suo modo di esporla, parlato, lo rende fruibile, ti colpisce, ha un testo bellissimo ed è forte.

Dal 2002, quando hai diretto Primavera a Sarajevo di Enrico Ruggeri ti è capitato più volte di dirigere l’orchestra, qual è il ruolo del direttore?

Il direttore viene contattato una volta usciti i nomi, a dicembre. Da quel momento è una corsa contro il tempo, perché le parti vanno consegnate entro il 3 gennaio, dopo aver ascoltato il pezzo, parlato con l’artista per scegliere la direzione da seguire, se tenere quello che c’era nel provino o rifare le parti in una nuova versione. L’anno in cui ho diretto Nina Zilli con L’uomo che amava le donne, i musicisti nel provino avevano improvvisato, quindi abbiamo dovuto riscrivere tutte le parti, un lavoro immenso.

Per dirigere l’orchestra devi avere carattere e carisma per tenere alta l’attenzione altrui, perché gli strumentisti durante il Festival sono spremuti come limoni. Devi motivarli, hanno tantissime parti da imparare e per fare in modo che non sia routine, perché suonare non è una routine, devi coinvolgerli e far sentire loro che ci credi. Quando l’orchestra è coinvolta e i musicisti suonano volentieri, si percepisce. Per questo non ho mai diretto nessuno che non mi piacesse: mi piace divertirmi in quello che faccio e si vede, quando dirigo ballo sempre. L’anno in cui ho diretto Zibba e i Perturbazione, ad esempio, ci eravamo divertiti tantissimo perché sono prima di tutto amici.

Devi anche saperti imporre, per esempio da donna ogni tanto qualcuno ha cercato di mettermi in difficoltà con domande che cercavano di cogliermi in fallo, lì devi avere il garbo, ma anche l’autorità di metterli a tacere e dimostrare che hai in mano la situazione.

Ultime domande flash, rispondi d’istinto:

Torneresti a Sanremo?

Certamente.

Edizione preferita, tra quelle a cui hai partecipato?

2014, quando ho diretto i Perturbazione e Zibba.

Canzone sanremese preferita scritta da te?

La canzone del perdono (2000)

Canzone sanremese preferita non scritta da te?

Rien ne va plus (Enrico Ruggeri, 1986).

Il tuo brano che avresti voluto a Sanremo?

La La La. Non è stato preso perché il ritornello era in francese. Con l’orchestra sarebbe stato bellissimo.

Con chi faresti un duetto?

Angela Baraldi.

Cosa ti fa sbuffare in questo settore?

L’incoerenza di certi artisti.


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