Chiunque si interessi un minimo delle vicende riguardanti l’UE è senza dubbio al corrente che la Brexit non è stato l’unico, pesante colpo inferto all’istituzione europea negli ultimi due anni. L’Europa si è trovata costretta a gestire il difficile abbandono da parte della Gran Bretagna (hard Brexit o soft Brexit? La questione è ancora aperta), e non può permettersi di abbassare la guardia nemmeno per un secondo: a creare problemi è subentrata, verso la fine del 2017, anche la Polonia.
Le origini della “questione polacca” risalgono in realtà al 2015, prima della stessa Brexit, anno in cui il partito euroscettico di estrema destra Diritto e Giustizia ha vinto le elezioni politiche. Nel giro di pochissimi mesi il nuovo governo è riuscito a rompere la sinergia e lo spirito di collaborazione che si erano creati tra la Polonia (entrata nell’UE nel 2004) e gli altri Stati membri, tramite l’approvazione di leggi ed iniziative parecchio discutibili e poco in linea con lo spirito europeo (imposizione di restrizioni sui mezzi di informazione, divieto quasi totale sulle interruzioni di gravidanza, rifiuto categorico di accogliere la propria quota di migranti). La goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha convinto l’Unione Europea a muoversi concretamente contro il governo polacco è stata una recente riforma della Corte Costituzionale che, in sostanza, compromette l’indipendenza del potere giudiziario, rendendolo sensibile alle pressioni del governo.
L’Ue, dopo vari tentennamenti ed esitazioni, ha preso una decisione senza precedenti e dalle conseguenze tutt’ora sconosciute: gli Stati membri ritengono infatti che in Polonia vi sia “il chiaro rischio di una seria violazione dello stato di diritto” e hanno concordato sull’applicazione dell’articolo 7 comma 1 del Trattato di Amsterdam, che prevede, tra le altre cose la sospensione del diritto di voto di Varsavia nell’Unione e l’interruzione dei finanziamenti europei. Una presa di posizione netta, dunque, contro il governo polacco, tuttavia non ancora definitiva. Infatti sono stati concessi alla Polonia 3 mesi di tempo (dall’applicazione dell’articolo 7, avvenuta il 21 dicembre scorso) per adeguarsi alle direttive imposte dalla comunità, modificando innanzitutto la riforma del potere giudiziario recentemente approvata. La situazione sarà dunque rivalutata a partire dal 20 marzo 2018.
Questa mancanza di un intervento tempestivo potrebbe però rivelarsi un’arma a doppio taglio: Diritto e Giustizia potrebbe approfittare di questo periodo concessogli dall’Unione per rafforzare il consenso all’interno del Paese, criticando contemporaneamente la possibilità dell’Europa di interferire con la politica interna di Varsavia. D’altro canto, però, secondo i recenti sondaggi, solo il 13% della popolazione intervistata si è espressa contro l’Europa, mentre il 55% si ritiene soddisfatto dell’istituzione: un ribaltamento delle percentuali non sarebbe di certo facile. Questo è senza dubbio un banco di prova importantissimo per testare la tenuta dell’Unione Europea, solo il tempo potrà darci delle risposte certe.