Giovedì 1 febbraio all’Alcatraz di Milano è andata in scena la seconda di tre date sold out da parte di Carl Brave, rapper e producer all’anagrafe Carlo Luigi Coraggio e Franco Bertolini, alias Franco 126.
Il loro primo disco Polaroid uscito a giugno per Bomba Dischi (in roster anche un certo Calcutta) è stato uno degli album più importanti del 2017 (ritenuto il migliore da Rolling Stones Italia e certificato oro dalla FIMI), sia in termini di nuove sonorità, freschezza e originalità, sia per la popolarità di alcune singole canzoni, divenute vere e proprie colonne sonore delle nuove generazioni. Si tratta di 10 pezzi a metà tra rap e cantautorato, che raccontano momenti della routine romana, senza filtri o ammiccamenti, per mezzo anzi di espressioni dialettali e riferimenti specifici alla Città eterna, a volte difficili da cogliere. Per quanto mi riguarda, album così brevi e apparentemente frivoli di rado mi avevano sedotto senza poi abbandonarmi dopo qualche ascolto: a causa di questo attaccamento, il desiderio di crearmi un parere sulle loro abilità sceniche è stato più forte dei pessimi feedback ricevuti da conoscenti e addetti ai lavori dopo i loro live al MI AMI e al Magnolia tra maggio e agosto.
Arrivato con moderato anticipo, la curiosità primaria è stata comprendere quale fosse il target medio: in seguito ad una analisi che si è protratta anche ex post, è stato chiaro come tra le prime file fosse difficile cogliere altro oltre a ragazzine under venti, mentre in fondo al locale (giustamente c’è chi ha da fare e arriva all’ultimo) vi era una folta presenza di universitari di Milano o fuori sede: nemmeno loro hanno saputo resistere alla tentazione di immergersi per un paio d’ore nell’atmosfera della Capitale, dimenticandosi della nebbia meneghina.
Rivolgendo le attenzioni al palco, si notavano subito le numerose postazioni dedicate ai musicisti. In tutto sei: tromba (che si occuperà sporadicamente anche di due tamburelli) e sassofono, due chitarre, un basso e la batteria. Innegabile che l’impegno nell’organizzazione dell’evento, in termini d’investimento monetario e umano, ci sia stato.
Verso le 21 salgono sul palco i designati a riscaldare la folla e aprire il concerto: si tratta di Ketama 126 e Pretty Solero (entrambi firmati da Sony di recente, informazione che si rivelerà fuorviante di lì a breve), appartenenti alla stessa crew di Franco 126, la LOVE GANG, ma più legati alla scena trap che indie. Il risultato non è dei migliori: il primo in playback, mentre il secondo, in chiaro stato confusionale, non fa altro che ringraziare e definire “bellissimi” gli spettatori. I due sventurati non staranno sul palco a lungo, ma abbastanza da diffondere un comune senso di disapprovazione nel pubblico: furbescamente, Carl e Franco ci metteranno un po’ prima di iniziare la loro serata, dando il tempo di sbollire ed esordendo con: “Milano lo famo er foco stasera?”.
Da lì in poi, è davvero una festa a cui è divertente partecipare. Salgono sul palco con nonchalance accompagnati da una Belvedere, drink vari (per Noccioline arriveranno anche le famigerate “tre bire”), occhiali scuri ma outfit opposti: Carl, alto e slanciato, indosserà una camicia hawaiana che al compare andrebbe come vestaglia, mentre Franchino ed il suo immancabile baffo optano per una coraggiosa felpona acquistabile in fondo al locale (un occhio al marketing non guasta mai), non curante del clima bollente generato dalle migliaia di persone accalcate.
I brani potenzialmente eseguibili, causa la giovanissima età del duo, formatosi nemmeno due anni fa, sono solamente 16 ed è questa una delle particolarità della serata: capita spesso infatti di rimanere delusi per l’esclusione di un pezzo dalla scaletta a cui si è particolarmente affezionati. Qui, i due trasteverini decidono invece di ridurre a zero tale rischio proponendo tutto il loro repertorio e dimostrando un’altra loro grande qualità: tutti i pezzi sono conosciutissimi e accompagnati con entusiasmo e, sebbene le hit Sempre in Due e Pellaria vengano lasciate come dulcis in fundo, è tangibile come ciascuna delle polaroid abbia un significato speciale per i presenti. Inoltre, malgrado fino a circa 8 mesi fa fosse totalmente sconosciuta, la coppia è straordinariamente rodata e a proprio agio di fronte ai continui inneggiamenti e a testimonianze appassionate.
Si avvale il più possibile dell’autotune, come prevedibile (nel disco stesso lo strumento è presente in misura massiccia), ma riarrangia, fino quasi a stravolgere, ogni brano, lasciando momenti di centralità ai musicisti e dimostrando una certa sperimentazione. Questa, mista all’attenzione nell’offrire qualcosa di nuovo rispetto alla versione in studio può forse non essere una mossa vincente, vista l’audience così giovane, ma da un ascoltatore leggermente più esperto può essere apprezzata.
L’attitudine, ed è qui la sorpresa maggiore che anche a mente fredda entusiasma, è decisamente rock ‘n roll: si tratta di un raduno, le strofe sono conosciute alla perfezione da così tante voci che risulta difficile distinguere quelle di chi è sul palco. In pieno stile volemose bene, è un continuo passare di microfoni, sorseggiare bevande, pausa sigaretta, scendere dal palco per salire sulle casse e dare il cinque (a fine serata Franco si presterà anche a una passerella d’onore per le foto con le prime file).
Di per sé un appassionato di musica dovrebbe storcere il naso di fronte a un simile atteggiamento, in fondo si paga il biglietto in primis per sentire cantare, auspicabilmente anche in maniera decente. Al contrario, questa serata insegna come in Polaroid la sostanza dell’esperienza raccontata prevalga sulla forma: la grande forza di queste istantanee è l’incredibile capacità di immedesimazione sia per il teenager sia per il trentenne. Abbracciarsi, mettere le mani a forma di cuore ed evadere per poco dalla quotidianità è l’unico comune desiderio. E allora ci sarà tempo per la precisione e per un’atmosfera più tradizionale, Carl e Franco sono qui per trasmettere un messaggio che va oltre la musica: non sono intonati né metricamente impeccabili, ma hanno un’energia travolgente e l’umiltà di “abbassarsi” per condividere con i fan rime ed emozioni.
L’attitudine è quindi rock ‘n roll non con un’accezione da fuck life, bensì da who cares: oggi io e te ci siamo, domani chi lo sa, quindi tira su quelle mani e famo un po’ de caciara! E in fin dei conti, con buona pace dei puristi, tutto questo fa stare bene.