“Ci sono però dei rapporti che senza fiducia, senza un affidamento incondizionato, sono impossibili”: ognuno, guardandosi dentro, sta forse pensando ad un rapporto che dia un volto e una identità a questa frase.
Non vorrei rovinare questo momento di introspezione, ma l’articolo prosegue: “Esattamente come nel rapporto amoroso, la necessaria fiducia che chi scrive deve provare per l’editor che si occupa di lui è la condizione prima del rapporto di collaborazione”. Quindi, ad un rapporto molto specifico è dedicato questo articolo.
L’editor è la figura che media il rapporto autore-testo.
L’editor è la figura che media il rapporto autore-editore
L’editor è la figura che media il rapporto autore-panorama culturale.
L’editor è la figura che media il rapporto testo-mercato librario.
In altre parole, l’editor deve annoverare tra le sue competenze l’attitudine finissima di dare un colpo al cerchio, uno alla botte; dove per cerchio si intende il mercato culturale e per botte lo scrittore. Qualunque siano le modalità utilizzate, in maniera più o meno invasiva, l’editor dovrebbe collaborare alla creazione di un prodotto che faccia emergere le potenzialità dell’autore, ma che, nel suo rispetto, accontenti anche il mercato e le sue richieste.
Utilizziamo il condizionale, dovrebbe. Perché in realtà accanto alla crescita della professione, cresce, con stessa speditezza, un agguerrito partito anti-editor.
Così si esprime Carla Benedetti su L’Espresso:
“Molti sostengono di lavorare per il lettore […]. Ma tacciono la cosa più importante: se la loro “utilità” è aumentata è solo in ragione della sovrapposizione libraria. L’industria editoriale, come ogni industria, deve sfornare una quantità “industriale” di libri, ma per pubblicarne così tanti bisognerà prendere anche quelli di poco valore, della materia inerte, che gli editor davvero migliorano. Ma la loro ragione d’esistere è legata all’aumento di fatturato, non certo al nutrimento dei lettori”.
La sfiducia della giornalista verso l’editor appare del tutto giustificata se si considera, per esempio, il caso Carver-Lish. Carver è stato conosciuto come scrittore minimalista, autore di racconti brevi che si interrompono bruscamente. Ma ci sono due Carver, scrive Baricco. Se immaginiamo il primo Carver come una città distrutta, a passeggiare tra quelle rovine ci si accorgerebbe dei problemi dello scrittore a creare racconti con strutture equilibrate: era Lish, l’editor, quello bravo a raddrizzare le cose. E si vede anche che il Carver obliato solidarizzava con i colpevoli, descriveva con calda partecipazione personaggi emotivi, dai sentimenti spesso contrastanti: erano di Lish le storie fredde e sospese, suoi i personaggi quasi esanimi.
Accanto a chi parla dell’editor come di un agente invisibile (sebbene ingombrante), di suggeritore occulto o di talent scout, ci sono le parole di un Ivan Cotroneo (in un articolo per la rivista Panta) che comincia dalla sua necessità di fiducia verso l’editor, quella da cui siamo partiti. In modo molto personale, a tratti eccentrico e stravagante, suggerisce una serie di elementi che gli piacerebbero in un editor, nel suo, il quale adombra anche un analista:
“Ho bisogno che sia donna ([…] io ho bisogno di avere un’editor, come ho bisogno di avere un’analista). Che mi faccia sentire che per lei sono “un lavoro, non solo un lavoro, ma anche un lavoro”, in un equilibrio difficilissimo (mi accorgo scrivendo che molte delle “caratteristiche necessarie” sono le stesse per la mia analista e per la mia editor, e suppongo che questo significhi qualcosa). […] Ho bisogno che le piaccia mangiare, perché è bello parlare di quello che si scrive quando si mangia […]. ho bisogno che le piaccia il colore nero, che ami leggere in automobile quello che scrivo, […]. Che mi offra all’improvviso dei gianduiotti. Non è facile trovare il tuo editor, come non è facile trovare l’amore (o, ci risiamo, il tuo analista)”.
Un parere estremamente personale, quindi, che, in quanto tale, aiuta a comprendere quanto sfumati siano gli attributi di questa professione.
Prendiamo le parole di Matteo Codignola come ago della bilancia e conclusione: “A volte gli editor salvano i libri ma a volte li sfigurano. In compenso, quasi sempre si lamentano: della paga (scarsa), della visibilità (idem), degli editori (inetti), degli autori (idem)”.
Giulio Perrone e Paolo di Paolo (a cura di), I libri sono sempre figli ribelli, Roma, Perrone, 2015