Spotify sbarca in borsa. A confermarlo sono alcune fonti del Wall Street Journal, secondo cui la società avrebbe fatto domanda alla Sec, autorità dei mercati finanziari americani, per avviare una procedura di vendita diretta dei titoli. La probabile decisione della società di optare per un metodo di quotazione iniziale diretta, anziché del più tradizionale sistema che prevede la presenza di intermediari durante le fasi iniziali dell’operazione di vendita, è la notizia che rimbalza su ogni testata, ma facciamo un passo indietro.
Quando una società decide di quotarsi in borsa, ha davanti a sé due strade: può decidere di aumentare il proprio capitale emettendo nuove azioni, oppure scegliere di vendere le azioni già possedute dai suoi azionisti, senza l’emissione di nuovo capitale. Questa vendita di azioni può avvenire attraverso degli intermediari, come ad esempio delle banche d’affari, oppure direttamente.
Come funziona la vendita diretta?
Una mattina, all’apertura dei mercati, tra i titoli acquistabili ci saranno anche quelli di Spotify, solo che, non essendo mai stati emessi sul mercato precedentemente, questi non avranno alcun prezzo predeterminato cui far riferimento per l’acquisto. Al contrario, nelle più tradizionali offerte pubbliche iniziali, viene reso noto prima dell’apertura delle vendite un prospetto informativo, che, oltre alle informazioni sulla società, fissi anche un range di prezzi entro il quale far rientrare l’offerta. Questa è la principale differenza: gli investitori hanno carta bianca.
Pro e contro
Tra i lati positivi della scelta c’è sicuramente un risparmio in termini burocratici e di tempo. La società non sarebbe infatti costretta a rivolgersi a consulenti o banche d’affari. D’altro canto, però, il fatto di non avere un prezzo fisso cui fare riferimento potrebbe rendere volatile il prezzo dei titoli. Inoltre c’è la possibilità che gli attuali azionisti decidano di mettere sul mercato solo una parte delle azioni, per studiare l’evolversi della situazione. In quel caso ci sarebbero molti investitori a scambiarsi poche azioni, situazione che potrebbe contribuire ulteriormente alla volatilità dei prezzi.
Attualmente Spotify ha un valore di circa 20 miliardi, aumentato notevolmente rispetto agli 8,5 miliardi del 2015, soprattutto grazie alle prospettive di crescita previste. L’arrivo in borsa rappresenterebbe un passo significativo per decretarne il primato tra i servizi streaming, ma anche per rafforzare la propria posizione nei confronti dei grandi colossi della musica digitale come Apple e Amazon. Secondo le indiscrezioni, la quotazione è prevista entro aprile 2018.
Considerando i livelli di crescita con cui la società, presente in 61 paesi, si sta espandendo e il suo ruolo all’interno della battaglia al consumo illegale di musica, potrebbe rappresentare un’opportunità importante. Tuttavia, ci sono ancora degli ostacoli da superare prima di cantare definitivamente vittoria. A dicembre infatti Spotify è stata chiamata in giudizio dalla Wixen Music Publishing, che gestisce, tra gli altri, i diritti di Neil Young, Tom Petty e The Doors. La società di raccolta chiede 1,6 miliardi di dollari come risarcimento per la gestione delle licenze di alcuni artisti. Non esattamente briciole, per una società giovane che ancora non riesce a realizzare utili, senza contare l’impatto sull’immagine.