“I am at war with the obvious.” – William Eggleston
Persone, oggetti, paesaggi, parcheggi: ossia il quotidiano, la banalità dell’ordinario.
Vi farebbe lo stesso effetto guardando le accese fotografie di William Eggleston?
Il fotografo statunitense, ora 78enne, rivede fiero e sereno la sua – ormai storica – produzione artistica, che rivoluzionò la fotografia a colori a cavallo degli anni ’60 e ’70, nobilitandola ai livelli di fotografia d’arte: cosa impensabile se guardiamo al successo e alla spiccata diffusione del bianco e nero di Robert Doisneau, Henri Cartier-Bresson e André Kertész.
William Eggleston (Memphis, 27 luglio 1939) nasce in Tennessee da una famiglia di proprietari di una piantagione di cotone, ed è da qui, dai grandi campi del sud degli USA che inizia la sua pratica con la fotografia. Nella sua formazione, solo due libri considerava fondamentali: The Decisive Moment di Henri Cartier-Bresson e American Photographs di Walker Evans.
Ma col passare del tempo, finì per criticare ai due autori le loro scelte inerenti alle composizioni fotografiche. Specialmente guardando le prospettive frontali di Evans, che a sua detta, appiattivano persino le ville delle piantagioni della sua amata terra natia.
Verso il 1965, Eggleston si cimentò così a sperimentare con la allora tanto “odiata” fotografia a colori. Nel 1967 portò alcune di queste a John Szarkowski, curatore della fotografia al Museum of Modern Art (MoMa) di New York, ed esattamente nel ’76 divenne il primo artista al mondo a esporre una personale di fotografia a colori, proprio nello stesso museo.
Ma al contrario di quanto si pensi, la sua mostra al MoMa di New York fu pesantemente demolita dai critici, che la catalogarono come “volgare per l’uso di colori pacchiani”. Persino il New York Times la definì come “la peggiore mostra dell’anno”.
Infatti, per le abitudini ed il pensiero del tempo, quasi tutti fecero fatica ad accettare i toni dalla forte carica cromatica. Sicché si accusò Eggleston di aver cercato di includere forzatamente nel mondo dell’arte una tecnica fotografica (la fotografia a colori) considerata banale, fino ad allora utilizzata in modo informale o commerciale, in particolare nelle pubblicità, e facilmente sopperibile da chiunque.
Ma fortunatamente, il tempo ha poi voluto dare ragione al fotografo: l’uso del colore gli venne legittimato e consacrato, come una rivincita schiacciante a tutte le aspre disapprovazioni da parte di critici e giornalisti dell’epoca.
Eggleston ha bensì dato una nuova vita al colore, servendosi di un processo di stampa che egli stesso conobbe quasi per caso, quando tenne la cattedra di Harvard (nel 1973-74): si tratta del dye-transfer, brevettato dalla Kodak negli anni quaranta e già allora considerato molto dispendioso.
Nel processo, i negativi di partenza sono in bianco e nero, e vengono successivamente stampati in tricromia attraverso filtri appositi che sviluppano e intensificano i pigmenti, in un’ampia gamma di rossi, blu e gialli.
Una volta averne riconosciuto il valore, il fotografo iniziò di lì a poco a esporre in tutto il mondo.
E man mano, gli vengono pubblicati due libri: William Eggleston’s Guide (1976) a cura di John Szarkovski, ed il suo The Democratic Forest (1989). Nel 2004 vince il Getty Images Lifetime Achievement Award, e solo un anno dopo gli viene realizzato un documentario sulla sua storia, dal titolo William Eggleston in the real world.
La vita di Eggleston era ed è tutt’ora scandita dall’arte in ogni sua forma, difatti disegna e dipinge opere astratte a colori riempiendo centinaia di quaderni, oltre a dedicarsi al suo (forse) più grande hobby: la musica.
L’artista alimenta ogni giorno la sua passione suonando per ore il pianoforte, su cui improvvisa non di rado composizioni che preferisce tenere segretamente per sé. Ma per nostra fortuna, nell’ottobre 2017, l’artista si è deciso a rilasciare alla casa discografica indipendente “Secretly Canadian”, il suo album di debutto: Musik, composto da una serie di registrazioni personali degli anni ’80.
“Non ho ancora provato a scrivere, ma potrei farlo. Disegno, pittura e fotografia potremmo dire che sono tutti gestiti dalle stesse regole, che in realtà non esistono.”
– William Eggleston in un’intervista a The Guardian.
Allo stesso modo, troviamo nelle sue fotografie un approccio aperto e appassionato, in cui traspare la sua visione democratica dei soggetti: una persona non è così diversa da un parcheggio, e il ritratto di un familiare non è diverso da quello di un estraneo.
Riferendosi al volume The Democratic Forest (1989), Eudora Welty (scrittrice e fotografa statunitense) e Alec Soth (fotografo di fiducia) ci spiegano il modo in cui Eggleston riconosce la complessità e la bellezza nell’ordinario:
Le fotografie straordinarie, efficaci, oneste, belle e implacabili hanno tutte a che fare con le nostre vite quotidiane. Riescono a mostrarci la grana del presente, come le venature di un tronco d’albero tagliato. Queste immagini ci parlano del mondo ordinario. E nessun altro soggetto è pieno di implicazioni quanto il mondo ordinario.
– Eudora Welty
Quando ha pubblicato The Democratic Forest, non c’è stata alcuna adesione al principio del momento decisivo, che aveva dominato la fotografia per decenni.
È una concezione concettuale di pura apertura, più simile all’idea del compositore John Cage, secondo cui dovresti essere in sintonia con la presenza di tutto ciò che ti circonda in ogni momento. Solo qualcuno così istintivamente dotato e fiducioso come Eggleston avrebbe potuto farcela. Molti altri hanno provato e non sono riusciti a fare lo stesso.
– Alec Soth
Difatti, l’artista porta a tutti lo stesso rispetto e la stessa attenzione, ma anche la stessa distanza: Eggleston non si lascia coinvolgere, resta un osservatore distaccato. Ed è proprio questo che conferisce alle sue immagini di vita ordinaria e persone comuni un’aura energica e suggestiva, difficile da dimenticare.
In aggiunta, considerando il fatto che comunque anche altri fotografi iniziarono a fare uso del colore, tra cui Saul Leiter, Fred Herzog, Helen Levitt e i due amici di Eggleston, William Christenberry e Stephen Shore, possiamo notare – senza nulla togliere alla qualità dei loro scatti – come in nessuno di questi emerga una gamma di toni tanto vivaci ed una disorientante forza compositiva.
“Quello che stava facendo negli anni ’70 è stato così avanti rispetto al gioco, che è stato rivoluzionario.”
– Martin Parr, fotoreporter britannico
Ma il suo stile non si è fermato al puro ambito fotografico, anzi, la sua fotografia ha influenzato in maniera affascinante anche il mondo del cinema, da registi come Sofia Coppola, Gus Van Sant al visionario (e caro amico) David Lynch, il quale ha più volte indicato Eggleston come il suo fotografo preferito.
L’unicità della visione di William Eggleston ha fatto sì che la sua produzione entrasse nella storia, invadendo sempre più ambiti artistici. E come ogni innovazione rivoluzionaria, ha dovuto ugualmente attendere il suo tempo per essere poi rivalutata con il massimo dei voti.
Traendo dal suo autentico insegnamento, possiamo anche noi lasciarci ispirare dalla quotidianità, con i suoi colori e personaggi, tutti indistintamente importanti.