Illustrazioni dantesche: connubio perfetto tra arte e letteratura.

“L’intero immaginario del fantastico è debitore a Dante”

Non molti altri autori possono vantare il successo e l’influenza esercitata sul mondo intero, in molteplici campi e in modi diversi, pari a quelli di Dante Alighieri. D’altro canto è una delle tre corone del Bel Paese, e sicuramente la più conosciuta in tutto il globo terrestre. La sua “Commedia” (al cui titolo venne aggiunto l’aggettivo “Divina” solo in un secondo momento) è un’opera universale, un sempreverde alla base non solo della letteratura, ma della cultura italiana. Tuttavia, in questo articolo non si vuole parlare dell’opera in sé, poiché la si tratterebbe in modo superficiale, ma di come tale opera ha influenzato il lavoro degli uomini di cultura succeduti a Dante nei secoli, in particolar modo nel campo delle arti visive, ispirando un filone artistico, quello delle illustrazioni dantesche.

Bisogna fare una premessa generale prima di parlare di questi ultimi: da sempre Dante ha suggestionato in una misura eccezionale artisti d’ogni genere, e qui citeremo solo quelli più rappresentativi dal Rinascimento ai giorni nostri; questo, tuttavia, implica una forte selezione essendo innumerevoli coloro che si sono dedicati all’illustrazione dell’opera dantesca, tanti che se ne potrebbe ricavare un libro di saggistica. Inoltre è doveroso sottolineare che la parte che più ispira il genere umano è l’Inferno, probabilmente perché non solo è la più fantasiosa e divertente, ma anche la più comprensibile, dato che man mano che si sale verso “la gloria di colui che tutto muove” il linguaggio si complica a causa delle evidenti implicazioni filosofiche e teologiche.

Il primo autore di cui si parlerà è Sandro Botticelli. Al famosissimo pittore rinascimentale fiorentino furono commissionati cento disegni dell’opera del Sommo, tra il 1480 e il 1495, da Lorenzo Pierfrancesco De’ Medici. Se ne conoscono novantadue, ma l’unico completato è quello della struttura dell’Inferno, “La Voragine Infernale” noto perché presente in tutti i libri scolastici.

Tuttavia, l’opera di Botticelli fu molto criticata a causa del suo stile fatto di linee leggere e armoniche, non adatte a rappresentare la forza drammatica delle scene descritte da Dante. I colori del Botticelli sono troppo delicati, i volti delle sue figure troppo somiglianti a bellezze ideali. In effetti riesce difficile immaginare il pittore che realizza “La Nascita di Venere” dipingere le anime dei dannati in maniera adeguata. Nonostante questa inadeguatezza alla drammaticità, il lavoro fatto per la mappa dell’Inferno è straordinario: ogni girone è molto particolareggiato, ricco di personaggi e di inserzioni di cui lo stesso Dante parla (si possono ritrovare gli stessi Dante e Virgilio!), i cerchi concentrici diventano sempre più stretti fino alla tana di Lucifero, in una struttura che nel suo insieme, a prima vista, genera confusione in chi guarda ma ne stimola la curiosità.

Proseguendo in ordine cronologico, William Blake, noto poeta d’oltremanica, nel primo ‘800 si dedica ad illustrare la Divina.

Anche in questo caso, il motivo è una commissione, avvenuta tuttavia pochi anni prima della morte dell’autore, che ne stroncò la completezza. Restano centodue acquerelli del progetto. Blake, nonostante i numerosi secoli di distanza, si sentiva vicino alla mentalità dantesca, soprattutto per quanto riguarda la religiosità e il disprezzo per le cose materiali. I disegni che realizza per la Commedia sono, come tutti quelli da lui realizzati, impregnati delle sue visioni immaginifiche, molto articolati e a metà tra il sublime e il macabro.

Trasmettono la sensazione di ultraterreno attraverso un sapiente uso di colori, contrasti e luci. I primi, pur risultando tenui grazie alla tecnica dell’acquerello, acquisiscono quell’effetto drammatico di cui Botticelli peccava grazie ai giochi chiaroscurali. Inoltre l’illustratore, come era sua abitudine, affianca ed integra al capolavoro letterario i propri elementi interpretativi e le proprie riflessioni, modificando Dante senza tradirlo.

L’800 è stato sicuramente un secolo ricco per quest’arte, tanto che Francesco Scaramuzza, Gustave Doré e Amos Nattini sono alcuni tra i più importanti illustratori della Commedia e sono nati tutti in quest’epoca. Il primo, nonostante chi gli avesse commissionato il progetto lo avesse fermato per problemi economici, convinto della validità del lavoro, lo continuò per proprio conto, per il centenario della nascita di Dante. Riesce ad illustrare l’intera Divina con ben duecentoquarantanove cartoni a penna, impresa titanica completata nel 1876. Tuttavia, Scaramuzza dovette confrontarsi negli stessi anni sullo stesso progetto con il rivale francese, Doré, e non venne apprezzato dai contemporanei. Il suo stile, dopotutto, era molto classico, accademico, dai toni smorzati.

Dunque, la critica era la stessa che fu mossa al Botticelli: Scaramuzza non era abbastanza drammatico nelle sue visioni dantesche.

Doré, al contrario, è il pittore che ha raggiunto la notorietà mondiale proprio per le sue illustrazioni dantesche, ormai entrate nell’immaginario collettivo. I suoi contrasti fatti di bianco e nero, rendono alla perfezione la forza drammatica che è diventata nel tempo il termine di paragone con cui si valutano le illustrazioni che i vari artisti hanno realizzato dell’opera del Sommo.

I volumi forti, con contrapposti quasi michelangioleschi, rendono le figure dei suoi disegni titaniche, dotate di un dinamismo incredibile che sembra farle contorcere fino ad avvitarsi su sé stesse: è il caso dell’illustrazione di Caronte, ad esempio, in cui anche il volto pare sfigurato da questa drammaticità.

Ma tutte le illustrazioni dantesche del francese giocano su questi volumi massicci e contrasti fortissimi. Inoltre, c’è una forza in questi disegni che manca agli altri ed è il realismo: non sembra una favola, non ci sono le linee idealizzate di Botticelli o le fantasiose forme di Blake. Doré disegna corpi reali, come Dante li descrive, creando una strana commistione di lugubre ed euforia in chi guarda.

Amos Nattini, invece, nonostante sia nato nell’800, opera nei primi anni del secolo successivo. Incitato da D’Annunzio, il pittore genovese intraprende il progetto delle illustrazioni dantesche (che nella sua testa era destinato da subito alla pubblicazione editoriale) portandolo avanti per oltre vent’anni (1912-1941). Nel 1915 rende pubbliche le prime tavole, suscitando un notevole interesse e affermandosi come uno dei più grandi illustratori della Divina. Una particolare caratteristica propria del pittore è quella di “muovere la macchina da presa” e cambiare la prospettiva dei disegni a seconda che ci si trovi all’Inferno (in cui si guarda verso il basso) o in Paradiso (in cui si guarda verso l’alto).

Artista novecentesco a tutti gli effetti, Nattini riesce a reintegrare nelle sue tavole vari stili dei suoi predecessori. Nell’uso del colore e dei drappeggi, in più di un’illustrazione, c’è un evidente richiamo, ad esempio, a Giotto; Nattini, però, rivela un animo quasi surrealista nelle sue illustrazioni dell’inferno, in cui fa un utilizzo spettacolare dei toni di blu e di giallo, colori in contrasto che creano effetti di luce e di ombra, senza la drammaticità del bianco e nero, ma quasi trasportando chi guarda il disegno in una dimensione onirica. Lodevole è anche il fatto che il pittore realizzi i disegni del Paradiso a ridosso della seconda guerra mondiale, non lasciandosi però scoraggiare dall’ombra del conflitto: le tavole dell’ultima cantica sono pervase da una luce soffusa e da toni pastello.

Nel secondo dopoguerra, invece, si collocano le illustrazioni dantesche di Salvador Dalì, cento disegni commissionati dallo stesso governo italiano, ancora una volta in occasione del centenario della nascita di Dante. Tuttavia, l’opinione pubblica si ritenne offesa per la scelta di uno spagnolo e non di un italiano, e il governo abbandonò il progetto. Come Scaramuzza, Dalì era convinto della validità di quest’opera, e continuò per proprio conto ad illustrare. Le sue tavole sono genuinamente surrealiste

Gli sfondi sembrano tavole prospettiche bianche allungate all’infinito, e le figure sono inquietanti e sproporzionate, in qualche caso accennate appena.

Ma anche il nostro secolo può vantare un artista senza pari, un illustratore italiano eccezionale: Paolo Barbieri. Formatosi prima a Mantova e poi a Milano, ha collaborato con moltissime persone per i progetti più disparati, da “Aida degli Alberi” a “Nihal della Terra del Vento”. Nel 2012 ha pubblicato un libro di illustrazioni dantesche riguardanti l’Inferno, tavole che ha accompagnato con terzine della Commedia stessa.

Non si tratta propriamente, come negli altri casi, di una Divina Commedia illustrata, ma di una sorta di trasposizione visiva della stessa. Il suo stile da illustratore fantasy non riduce l’umanità delle figure, anzi, la esalta: il tratto di Barbieri è sensuale, passionale, e non fa sconti alla carnalità, riuscendo a commuovere con la plasticità delle figure, rendendo il nostro conterraneo un artista che può tranquillamente competere coi suoi predecessori, i quali non sempre sono riusciti a rendere la forza drammatica delle figure e delle storie dantesche.

E Barbieri ricorda al mondo quella visione della Divina Commedia come un immenso affresco fantasy:

“un’interpretazione che avvicina Dante a una modernità fantasy piuttosto evidente. Nell’Inferno ci sono città in fiamme, castelli immersi nella bruma, demoni crudeli e burloni, anime dannate travolte dalla tempesta e altre perdute in abbracci eterni, creature mostruose, trasformazioni di uomini in serpenti e giganti imprigionati per l’eternità. Tutto questo non è forse anche fantasy?”

Dunque, tutti questi artisti testimoniano la stretta connessione che c’è tra opere letterarie e opere artistiche, e in particolar modo come un’opera monumentale come la Divina commedia resti alla base della cultura dell’umanità, entrando a far parte non solo della letteratura, ma ispirando quello che si potrebbe definire un nuovo genere artistico (ovvero quello delle illustrazioni dantesche) e inserendosi nell’intero immaginario collettivo che, come conclude Barbieri, “si è riflesso ed è figlio di quest’opera immortale impressa anche inconsciamente nel nostro DNA”.

 


 

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