Presentato in concorso al Festival di Roma, Stronger porta sullo schermo il difficile recupero di Jeff Bauman – interpretato da Jake Gyllenhaal -, dopo che perse entrambe le gambe nell‘attentato durante la maratona di Boston del 2003, e la sua difficoltà di fronte a coloro che lo catalogarono fin da subito come un eroe americano. Una vicenda dunque abbastanza complessa, intensa, ma soprattutto vera che poteva far pensare che potesse delinearsi una prospettiva di statuette per l’attore americano, ma così non è stato, e forse giustamente.
Dopo la pubblicazione della foto che lo ritraeva pochi secondi dopo l’esplosione, spaesato e soccorso da Carlos Arredondo, e la sua diffusione virale in tutto il mondo, Bauman fu infatti acclamato come un vero e proprio eroe americano, la vera incarnazione del motto “Boston Strong”, creato dopo l’attentato. Tuttavia Bauman, traumatizzato da un evento casuale e devastante, non riusciva a comprendere il motivo di quell’immagine cucitagli addosso, a suo parere ingiustamente.
In particolare ciò che il pubblico aveva deciso di vedere in quel ragazzo poco più che ventisettenne, non era la paura o lo spaesamento, ma se mai la possibilità della sopravvivenza, di una rivincita contro un atto di puro odio ed incomprensibile violenza. Dal momento in cui fu pubblicata la sua fotografia, Bauman smise di essere semplicemente quel Jeff che voleva riconquistare l’amore di Erin, ma diventò l’unico appiglio per una nazione ferita che cercava di riprendersi.
L’obiettivo del film è dunque quello di riportare al pubblico quelle che furono le emozioni di Jeff, e non tanto la facciata esteriore che presentò al mondo. Scopriamo così la sua fragilità, la sua insicurezza, e soprattutto la profonda convinzione di non essere l’ eroe, che tutti osannavano. Da questo punto di vista Gyllenhaal riesce egregiamente a portare a termine il compito del racconto, proponendo sullo schermo un’interpretazione non solo credibile, ma commovente. Purtroppo però nell’immagine complessiva del film la recitazione di Gyllenhaal va perdendosi completamente.
Gyllenhaal non riesce infatti a brillare come avrebbe dovuto, non trovando mai l’occasione giusta per dare forza e conferma alla propria interpretazione. Manca infatti un episodio che consacri la sua performance, ed anche la scena più tragica di tutte non sembra essere sufficiente. Questo è probabilmente dovuto alla natura stessa del film: cercando di mostrare il senso di inadeguatezza di Bauman, il focus è stato spesso spostato sulle persone intorno a lui, anch’esse colpite da una tragedia che in fin dei conti è stata più corale che personale. Così facendo Stronger cerca se mai di presentare la vicenda di Bauman come l’esempio di una nazione in lutto che è stata capace di rialzarsi con Jeff, che è riuscito a camminare di nuovo.
Tuttavia, al di là della scelta volta a “dipingere” una storia corale invece che individuale, ciò che in maniera definitiva affossa l’interpretazione di Gyllenhaal è la medietà del film: Stronger non porta con sé nulla di nuovo né a livello registico né tanto meno per quanto riguarda la sceneggiatura: ci troviamo semplicemente di fronte ad un altro film un po’ patriottico, un po’ “inspirational”, certamente fruibile ma che non lascia molto allo spettatore.
È dunque più che comprensibile che Gyllenhaal non sia stato considerato nella corsa per gli awards – non quelli che contano almeno – e soprattutto non per gli Oscar. Infatti, per quanto ottima, la sua performance è stata in ultima analisi affossata da un film che voleva essere il grande racconto di un episodio di coraggio americano contro le avversità, e che invece finisce per essere tuttal più un film passabile, guardabile ma non eccezionale.