Boris Taslitzky: quell’arte in cui il colore si impiastra col dolore

Avete mai sentito parlare di Boris Taslitzky? Il suo nome non dice molto e basta questo spiacevole dato per far riflettere. Il suo nome compare tra quelli di artisti che sono riusciti a salvarsi dalle più vergognose atrocità della Seconda guerra mondiale, coloro che a differenza di altri hanno potuto raccontare la loro storia. Una storia che oggi dobbiamo categoricamente e moralmente ricordare, tener viva e tramandare affinché non venga più celato alcun crimine e solo così si può dar voce a chi non ha potuto averne, a chi non ha potuto gridare e lottare per la vita.

Negli anni in cui l’arte incontrava regimi criminali e dittature poteva percorre due contrapposte strade: poteva uscirne libera e fiera o schiava e avvilita. Gli artisti potevano dunque piegarsi al potere e mettersi al servizio della propaganda, oppure essere perseguitati e finire deportati in un campo di concentramento.

Tra tutte le vittime delle ideologie antisemite vanno ricordati anche molti artisti. Uomini che nonostante il terrore con cui erano costretti a convivere, trovarono la forza e il coraggio per denunciare gli scempi che osservavano e vivevano sulla propria pelle, riproducendoli su fogli e tele con la stessa crudezza a cui erano abituati. La matita e il pennello erano dunque gli unici mezzi su cui potevano scaricare la propria rabbia, l’orrore e il senso di ingiustizia. Inoltre, aver la possibilità di tener in mano oggetti simili, dava loro la possibilità di sentirsi ancora attaccati alla vita, di sentirsi ancora e in qualche modo liberi. Era quell’estro a mantenerli saldi, a non farli impazzire e delirare: si cibavano di quella creatività che rappresentava l’unico motivo per cui valeva la pena resistere, combattere e cercare di sopravvivere giorno per giorno.

Per questo la loro arte prevenutaci fin oggigiorno deve essere tutelata, ricordata ed elevata a manifesto. Essa è il grido di tutti quegli uomini che hanno pagato in prima persona le più abominevoli nefandezze degli uomini più potenti, in quei tragici anni cui venne ribaltato il rapporto che divide l’uomo dall’animale: anni in cui le persone venivano trattate come bestie e le bestie venivano assecondate e ascoltate come persone.

Raccontiamo ora, tra tutte le storie di questi artisti quella di Boris Taslitzky, sopravvissuto all’inferno patito nel campo di concentramento di Buchenwald.

Il piccolo campo a Buchenwald, 1945

“Boris Taslitzky, uomo di convinzione e di azione che si impegnò coraggiosamente nei tragici eventi che segnarono la sua coscienza e la sua vita. Tuttavia, egli era soprattutto un artista: la diversità come l’importanza del suo lavoro lo rappresentano per tutto l’arco del ventesimo secolo. Con una grande cultura artistica, letteraria e storica, si arruola con determinazione nel lignaggio degli artisti realisti della tradizione francese. Uomo di coraggio, umanista e artista che, in qualunque circostanza, ha sempre voluto dare un resoconto della vita in tutte le sue dimensioni, dalla gioia al disprezzo, dall’intimità all’impegno politico”

Così lo ricorda la figlia Évelyne che per omaggiare il padre ha aperto un sito a lui dedicato per rendere accessibile e per far conoscere ad un pubblico più ampio tutta la sua opera.

Autoritratto con sigaretta, 1950

Pittore francese, di origine russa e di fama internazionale, Boris Taslitzky (1911-2005) nacque a Parigi dove visse sempre. A soli quindici anni comincia a frequentare le accademie di Montparnasse, poi la scuola nazionale di Belle Arti di Parigi. Fu affiancato da George Besson, Francis Jourdain e Louis Aragon; Il suo laboratorio è un luogo dove si intersecano personalità del mondo dell’arte e della cultura. La sua pittura deriva dallo studio della tradizione pittorica francese, da Poussin a Fragonard, Ingres, Géricault e Delacroix a Courbet.

Il suo percorso è fortemente segnato dai grandi sconvolgimenti della storia del XX secolo, partecipando sia come testimone che come attore ed è così che ha affrontato i suoi impegni artistici e politici commisurati alla sua coscienza particolarmente acuta, legata alla sua responsabilità di uomo e di artista. Nel 1933, entrò a far parte dell’associazione di scrittori e artisti rivoluzionari (A.É.A.R), dove divenne segretario generale della sezione dei pittori e scultori, poi nel 1935 ha aderito al partito comunista. Intorno alla questione del realismo, partecipa attivamente ai dibattiti della casa della cultura che prefigurano la politica culturale del fronte popolare.

Parlare l’un sull’altro nei sogni

Boris Taslitzky dichiarò che tutta la sua vita era stata segnata dalla guerra. Dopo il fallimento della rivoluzione del 1905, i suoi genitori fuggirono dalla Russia a Parigi. Durante la prima guerra mondiale, nel 1915, suo padre viene ucciso combattendo nell’esercito francese e nel 1942, sua madre, perché ebrea, viene arrestata e assassinata dai nazisti al campo di Auschwitz. Fin dalle prime ore, l’impegno di Boris Taslitzky per la Resistenza è esemplare. Il 13 novembre 1941 Taslitzky fu arrestato da poliziotti francesi e venne condannato a due anni di reclusione; prestò servizio a Riom, Mauzac e nel campo di St. Sulpice-la-Pointe, dove, con la complicità degli altri prigionieri, dipinse una serie di affreschi.
All’inizio di agosto 1944 venne deportato a Buchenwald come detenuto politico, dove, grazie alla solidarietà e all’organizzazione della resistenza clandestina, Boris Taslitzky produce quasi 200 schizzi e disegni, oltre a cinque acquerelli. I suoi amici comunisti proteggevano le sue attività artistiche illegali e ottenevano carta e matite.

“Se vado all’inferno, farò schizzi. D’altronde ho esperienza, ci sono andato e ho disegnato”.

La depressione. Campo di Buchenwald 1944
Compagni stanchi che attendono l’appello. Campo di Buchenwald, 1945

Grazie alla fine della guerra, riuscì a far ritorno a Parigi, dove continua il suo lavoro eseguendo grandi dipinti dove rappresenta scene di vita quotidiana e paesaggi. Nel 1946 ha ricevuto il Prix Blumenthal per la pittura. È diventato insegnante all’École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs e ha lavorato come illustratore per la stampa comunista, ricevendo numerosi riconoscimenti.

Nel migliore come nel peggiore dei casi, Boris Taslitzky rimane un testimone che è stato capace di raccogliere la realtà anche quando questa si presentava dolorosa, tragica e addirittura insopportabile.


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