Il 7 gennaio 2017 si è conclusa la mostra organizzata al Mudec di Milano dedicata alla scoperta della tomba di Amenofi II. Lo Sbuffo ha già presentato questa esposizione in un precedente articolo; ma che contributo diede questo faraone alla storia dell’Antico Egitto? E quanto possiamo considerarlo emblematico di quell’affascinante cultura?
Il nome Amenofi altro non è che la trascrizione greca dell’egizio Amenhotep, letteralmente “Il dio Amon sta diventando appago”, con riferimento alla divinità tebana dalle fattezze antropomorfe il cui potere procreativo è talvolta simboleggiato da un’oca o da un ariete. Infatti Amon, dio primordiale dell’aria (la radice imn significa “nascondere”), viene presto a identificarsi con Ra e poi con l’intero panteon egizio, in una sorta di monoteismo. La supremazia di questo culto si consolida sotto la XVIII dinastia, che conta ben quattro sovrani recanti il nome Amenhotep.
Amenofi II regnò presumibilmente dal 1427 al 1401 a.C. mantenendo saldo l’ampio impero ereditato dal padre Thutmose III e rafforzando con sole tre campagne militari il dominio egizio in Asia, come rivela il titolo Horo d’oro (“Che sottomette tutti i paesi con la forza”). Una capacità bellica messa in relazione da fonti ufficiali (quali la Stele della Sfinge) con la prestanza fisica che il sovrano, dall’eccezionale statura di 1,85 metri, affinava in sport di tipo militare e di stampo asiatico (tiro con l’arco, corsa, equitazione, caccia). Elogiativa, in tal senso, la Stele del Tiro con l’Arco in cui si legge che Amenofi II «[…] padroneggiava l’equitazione e non c’era alcuno pari a lui […] Il suo arco non poteva essere piegato da nessuno e nessuno poteva raggiungerlo nelle corse».
Abile e forte quanto crudele, di lui si narra che durante la prima spedizione di Siria uccise, a Quadesh, sette principi ribelli, i cui corpi vennero appesi alla prua della nave che lo ricondusse in Egitto: fece esporre questi cadaveri sulle mura delle città di Tebe e di Napata affinché fossero da monito a eventuali altri oppositori. Due ulteriori campagne in Siria posero fine ai tentativi di rivolta dei Mitanni e i loro sovrani, come quelli babilonesi e hittiti, dovettero risolversi a pagare regolari tributi.
Amenohtep II incarnò quindi la passione degli antichi egizi per la competizione e l’esercizio fisico, aspetto attestato da molte raffigurazioni tombali, di diverse datazioni: sovrani e popolino, tutti si dedicavano a questo tipo di passatempo. Ma questo re è celebre anche, e forse soprattutto, per la sua tomba, KV 35 della Valle dei re nella Tebe Occidentale: in essa è stata rinvenuta la prima mummia di faraone intatta, e ancora ornata di fiori, nel suo sarcofago di quarzite rossa. A rendere ancor più peculiare questa scoperta, operata dall’archeologo francese Victor Loret nel 1898, è stato il reperimento dei corpi di altri grandi personaggi del Nuovo Regno, celati alle incursioni dei predoni nelle stanze laterali della tomba durante epoche successive e in particolare durante il regno di Pinedjem I, della XXI dinastia.
La sala del sarcofago di Amenofi II è di forma rettangolare, con sei pilastri su cui il faraone è rappresentato assieme alle divinità funerarie Osiride, Anubi e Hator, mentre sulle pareti è simulato un papiro spiegato recante il testo dell’Amduat. Esso accompagna il defunto nell’aldilà narrando il pericoloso viaggio verso oriente del Dio Sole attraverso le dodici divisioni dell’oltretomba egizio, corrispondenti alle dodici ore della notte. Assieme al sarcofago, rinvenuto nella cripta dal pavimento ribassato, sono stati reperiti emblemi regali, scrigni e statue, tra le quali una raffigurazione del defunto dotata di uno scomparto celante un papiro con i testi del Libro delle Caverne, anch’esso dedicato allo scontro tra Ra e le forze del male (come il serpente Apofi) che vogliono impedirgli di risorgere dal suo viaggio sotterraneo.
FONTI
Storia universale I. L’antico Egitto, RCS Quotidiani Spa, Milano, 2004, pp.236-241
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