Tutti noi probabilmente, scozzesi e non, sappiamo cosa sia un kilt…ma quanti conoscono l’ “utilikilt”?
Il nome viene dall’unione delle due parole “utility” che in inglese significa “utilità” (in questo caso in senso tecnico, pratico) e “kilt”, il tradizionale capo d’abbigliamento scozzese. Lana, tartan e plissé vengono sostituiti da materiale resistente, colori uniformi e tante, tante utili tasche. Si tratta quindi di una rivisitazione in chiave pratica di questo indumento, una rinascita e innovazione della tradizione.
Il kilt (dalla parola norrena “kjilt”, ossia “pleated”, “pieghettato”) nasce nelle Highlands scozzesi come soluzione ad un problema. A metà del secondo millennio queste zone erano ancora prive di strade e gli spostamenti venivano effettuati a piedi o su pony, è dal XVI secolo (secondo le fonti) che viene introdotta la prima forma di kilt: un indumento che lasciasse la parte bassa delle gambe scoperta, per evitare di inzuppare i vestiti nelle attraversate di terreni difficilmente praticabili. Si trattava di una forma antica di kilt, il cosiddetto “phileigh-mhor”, altrimenti conosciuto come “great wrap”: un’unico grande pezzo di stoffa che veniva arrangiato intorno alla vita e riportato sulle spalle.
Successivamente, il primo ingombrante modello si è evoluto nel “phileagh beag” o “small kilt” che, come il nome suggerisce, aveva dimensioni minori e più pratiche, apparentemente per due possibili motivi: la diffusione di una nuova forma di giacca più aderente, chiusa sul davanti (che rendeva difficile portare sotto di essa un capo tanto abbondante) o forse per il desiderio di evitare incidenti col mulino per gli operai che lavoravano in abito tradizionale.
È infine intorno al 1790 che appare la versione moderna del kilt, quella che conosciamo oggi: una gonna a portafoglio plissettata fermata da lacci in pelle, spilla di sicurezza e “sporran” (la tipica borsetta di cuoio portata in vita).
Il tipico motivo tartan è stato associato al kilt in un secondo momento, inizialmente i colori erano bianco, marrone spento, verde o nero, per poi evolversi nella fantasia che in tutto il mondo viene associato alla Scozia.
Il kilt è simbolo di patriottismo e appartenenza a determinate famiglie scozzesi, viene usato in occasioni importanti come abito da cerimonia, ma è vero che nel corso dei decenni il suo uso si è diffuso anche in contesti più informali. Un capo che senza dubbio ha il suo impatto, poiché diametralmente opposto agli usi sociali che vedono la gonna come priorità esclusivamente femminile. Un capo che parla da sé e trasporta la storia scozzese nelle sue fibre.
Lo utilikilt, però, non ha nulla a che fare con l’antico sentimento scozzese; la Utilikilts Company nasce infatti nel 2000 sull’altro lato della costa atlantica, in terra americana, dalla brillante mente di Steven Villegas affiancato da Megan Haas. Villegas già creava utilikilts per il Freemont Street Market di Seattle e successivamente fonda la compagnia come finanziamento ad un progetto d’arte. Questi capi hanno poi avuto un enorme successo, apprezzati da numerosi “utilikiltarians” soddisfatti dei propri acquisti, diventando il simbolo di una rivoluzione: the Unbifurcated Revolution.
“[a] movement to free men from the tyranny of trousers”
In parole più semplici, un simbolo di libertà di indossare ciò che si vuole indipendentemente dalla struttura binaria della società. “We sell freedom” viene affermato orgogliosamente su internet dalla Compagnia, vendere libertà attraverso la diffuzione di MUG’s ossia “Men’s Unbifurcated Garments”.
Una rivoluzione che è agli inizi, ma che ha già raggiunto gli schermi televisivi e le opere d’arte e che in nome della libertà di movimento (e di mentalità) punta non tanto a sconvolgere la società, ma a garantire nuovi orizzonti agli uomini di oggi.