Pamela Rosenkranz (Altdorf, 5 Giugno 1979) è un’artista svizzera-tedesca. Laureatasi presso l’Università d’arte di Berna, già durante i suoi studi attirò a sé una grande attenzione a livello artistico internazionale.
L’artista 30enne ha già alle spalle una carriera scandita tra varie prestigiose esposizioni, quali: Berlin Biennale, Manifesta 7 e Swiss Institute di New York (2008); Biennale di Venezia (Padiglione Internazionale nel 2013 e Padiglione svizzero nel 2015); Kunsthalle Basel (2012).
La sua produzione indaga principalmente il concetto dell’esistenza umana nel contemporaneo attraverso la globalizzazione e il consumismo, studiando in primo luogo l’aspetto del vuoto, onnipresente nella storia e nella politica, come nella società.
Nelle sue ricerche l’artista adotta un approccio scientifico di impronta nichilista, poggiandosi su una base concreta e fondata tramite lo studio dell’uomo visto come materia biologica, che reagisce chimicamente agli stimoli, come ogni altro organismo esistente in natura.
Le sue considerazioni vengono applicate a tutti gli aspetti della società contemporanea, giungendo a smascherare gradualmente ogni parvenza della cultura odierna.
“Understanding our eyes as organs that have developed over very long spans of time helps us to think differently about images we see in the contemporary world. There’s no pure image streaming through our retinas, giving us access to truth. Vision is very physical and conflicted.”
– Pamela Rosenkranz
Il nichilismo di Pamela Rosenkranz è così interpretabile: in un universo da leggersi come infinito e dalla materia intelleggibile, la generazione umana rappresenta solo una piccola componente nello sviluppo di questo pianeta, il quale anch’esso prima o poi sarà destinato a scomparire.
Spostando inoltre l’attenzione all’epoca contemporanea, il valore umano si fa ancora più obsoleto in quanto non vi è più una netta distinzione tra organico e sintetico: l’acqua, i sedimenti, la vegetazione, la fauna e gli uomini sono sempre più intrisi di sostanze sintetiche, e soprattutto, come esplicato dall’artista, l’umanità può già percepire le premesse di una futura tramutazione cyborg.
Considerando perciò l’insediamento umano nel pianeta, la Rosenkranz va direttamente agli albori della vita terrestre, soffermandosi in primis sulla ricerca effettuata dal Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, che studiò l’epoca dell’antropocene: epoca biologica caratterizzata dall’impatto umano sull’ecosistema della Terra, che implicò un cambiamento radicale rispetto al mondo naturale preesistente.
Prendendo ad esempio la predominante del blu che troviamo non di rado nelle sue opere, è individuabile in essa uno studio storico sulla nostra percezione del colore, la quale nacque in fase pre-evoluzionistica, quando le forme di vita esistevano esclusivamente sott’acqua. Come tali forme di vita acquatiche, anche gli esseri umani reagiscono più sensibilmente alla visione di questo colore. L’artista applica perciò la teoria per cui il senso della vista umana sia influenzato dallo sviluppo naturale della specie, come gli altri sensi e le componenti genetiche che lo appartengono, discreditando per giunta la distinzione ideologica tra natura e cultura. Gli scritti del teorico iracheno Reza Negarestani, citati dall’artista, riflettono per l’appunto su un “acquatico capitalismo” del colore blu, largamente utilizzato in molti prodotti, spot pubblicitari, riviste e siti web (quali Facebook e Twitter).
L’artista affronta l’essenza della materia analizzando materiali, sostanze e oggetti a sé stanti, come nel caso dell’opera Pure Reflection (2012), che ribadisce l’assenza di un significato intrinseco di un oggetto.
Rosenkranz intende come “prodotto umano” qualsiasi manufatto, tra cui le bottiglie di plastica, in quanto si decompongono anch’esse biologicamente nell’ecosistema. In quest’ottica, l’idea di acqua “sacra” e purificatrice viene così collegata ai gravi danni arrecati dall’imballaggio che la caratterizza.
Il crollo della distinzione tra le due categorie (organica e sintetica) deriva da una filosofia contemporanea che indaga le possibilità della non-identità, ovvero dell’identità oltre la coscienza e l’esistenza.
La trasparenza e gli effetti luministici e di moto si originano tramite l’interazione dei materiali con varie apparecchiature tecnologiche, oltre che tramite reazioni generate da particolari sostanze chimiche.
Ne troviamo ulteriori esempi nel Padiglione Svizzero della 56° Biennale di Venezia, in cui l’artista ha esposto il suo complesso di installazioni intitolato Our Product (2015), a cura di Susanne Pfeffer.
Il percorso parte da una stanza illuminata da una luce artificiale che omologa tutti i pigmenti dell’incarnato umano, in modo da rendere i visitatori tutti indistintamente simili, dalla stessa tonalità biancastra.
L’obiettivo dell’opera è quello di trarre una riflessione sulla nostra concezione estetica. Nel corso della nostra storia culturale le rappresentazioni umane prediligono quasi assolutisticamente l’incarnato nord-europeo: presente da sempre nella storia dell’arte (nonché nel Rinascimento), l’incarnato pallido continua ancora oggi a dominare lo scenario stilistico e pubblicitario/televisivo.
Questo, dice l’artista, è un esempio di come il nostro cervello si sia impostato nel tempo nella promozione di uno specifico modello di bellezza tramite la cultura ereditaria, intaccando di conseguenza le nostre valutazioni e preferenze biologiche.
Continuando la visita all’esposizione svizzera, si giunge poi ad una veduta di una stanza occupata interamente da un composto di acqua miscelata a sostanze sintetiche e psicotrope, sul cui movimento generato da quest’ultime, si riflettono i disegni di una luce al neon posizionata sul soffitto sovrastante.
Necrion, Carneam, Melosone, Viagra, Silicone sono alcuni dei nomi delle sostanze scelte, non ancora ben catalogati tra i sintetici o gli organici.
Durante l’esposizione, già in lontananza si avverte un sibilo quasi impercettibile e un insolito odore di involucro di plastica alterata. Il movimento fluttuante consiste nel rappresentare una timida vitalità artificiale, da leggersi in relazione alla fluida e influenzabile personalità dell’essere umano a contatto con vari materiali e composti presenti “in natura”.
E la Rosenkranz si interroga proprio su questo punto: cosa significa essere umani nel mondo contemporaneo?
In che modo il nostro sistema biologico, la nostra storia e i nostri corpi condizionano la percezione che abbiamo di noi stessi e la nostra comprensione del mondo?
L’artista sperimenta con le interazioni fra uomo e sostanze per trovare le sue risposte in maniera autonoma e personale, per mezzo delle nostre molteplici reazioni con gli elementi con cui abbiamo quotidianamente a che vedere, soprattutto se ne siamo ignari e inconsapevoli.
L’opera Infection (2016) creata per il ciclo di mostre “Sligh Agitation” del Thought Council di Fondazione Prada (Milano), costituisce un interessante risultato in questa indagine.
L’installazione è un’imponente massa di granelli e polveri posta nella cisterna dell’edificio, esternamente visibile ma non del tutto visitabile all’interno, in quanto occupa l’intero spazio della stanza sino a ostruire l’uscio.
Una luce verde RGB illumina dall’alto la massa di sabbia, che di aspetto rimanderebbe ad un’immensa lettiera per gatti: infatti, l’installazione è impregnata di feromoni felini ricreati in laboratorio, il cui sentore può innescare una sorta di repulsione o attrazione sul piano biologico, a seconda dei portatori affetti da toxoplasmosi: parassita che agisce a livello neurologico, colpendo il 30% della popolazione mondiale. Il batterio sviluppa nei portatori sani un’attrazione nei confronti dei gatti, ma come puntualizza il curatore Shumon Basar, “potremmo non essere affetti da toxoplasmosi e trovare ugualmente attraente il sentore felino, che magari ci ricorda il profumo utilizzato dalla mamma”.
Effettivamente, la ricerca dell’artista rivela che molte persone attirate dall’effluvio risultino essere consumatori di profumi di marca, specialmente del famoso “Chanel n.5”, in cui vi è presente una traccia della stessa fragranza.
Ciò smaschera facilmente le dinamiche dell’economia globalizzata dei cosmetici, che è perfettamente a conoscenza della corrispondenza esistente tra il nostro meccanismo olfattivo e le analoghe reazioni biologiche.
Ogni opera di Pamela Rosenkranz è un esperimento che ci esamina e ci interroga dal vivo, ed ogni oggetto e installazione alimenta in noi una maggiore comprensione su cosa siamo oggettivamente e sulle dinamiche del mondo che ci circonda. Da qui risultano indubbiamente interessanti gli effetti naturali che ci colpiscono inconsciamente, dandoci preziosi indizi sulla nostra eredità biologica e culturale, in vista della prossima evoluzione.