Il “doppio è da sempre uno fra i grandi topoi letterari. Già coi Menecmi Plauto presentava tale tematica attraverso il faceto, stile caratteristico della commedia classica basata prevalentemente sugli equivoci. La fallace agnizione fra due gemelli separati alla nascita garantì al commediografo latino quello che risulta essere il più grande fra tutti gli equivoci: lo scambio di persona.
In ambito letterario lo scambio di persona prese però una direzione meno farsesca e (al di fuori della commedia), col passare degli anni, virò verso il folklore dividendo l’anima e il corpo di un singolo personaggio in due metà opposte e complementari: una buona e l’altra malvagia. Si creò dunque la figura del Doppelgänger, traducibile dal tedesco “doppio viandante” o, più semplicemente, il doppio.
(Il Doppelgänger di Schubert)
Sulla scia del Doppelgänger, sono nati e continuano a nascere moltissimi romanzi di successo fra cui Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde di Stevenson e Il visconte dimezzato di Italo Calvino.
Un passo fondamentale per l’evoluzione del Doppelgänger fu dato sicuramente da Fëdor Dostoevskij, il quale percepiva il doppio come “un grande tormento, […] una coscienza molto sviluppata e un dovere morale verso se stessi”. Come avrebbe sottolineato Freud, Il grande scrittore russo ebbe l’intuizione di trasporre la tematica, che fino a quel momento si era limitata a una questione prettamente morale (bene vs male), in nuovo contesto sociale, quello della seconda metà ottocentesca. La massa, la grande protagonista dei romanzi realisti, divenne così raccontata per quello che è davvero: un’agglomerazione di alienati.
Per il suo secondo romanzo, Il Sosia (1849), Dostoevskij attinse da Gogol’ un atteggiamento critico nei confronti del ceto medio, in particolar modo dall’apparato burocratico, composto prevalentemente da impiegati frustrati dal lavoro e ossessionati dall’illusione di una “promozione di classe”. Nella Russia zarista vigeva infatti la famigerata Tabella dei ranghi, la quale permetteva (in linea molto teorica) un avanzamento di status fino al raggiungimento della nobiltà. Il sosia che un giorno qualunque compare dinnanzi al protagonista Goljadkin è però complesso e multiforme. “Goljadkin numero due” possiede tutte le qualità (positive e negative) che l’impiegato statale disprezza ma allo stesso tempo reputa indispensabili per fare carriera, presentandosi come un “impeccabile impiegato” senza quindi incarnare il preciso stereotipo di antagonista malvagio, se non dalla prospettiva dell’ormai sostituibile e umiliato Goljadkin.
Quasi un secolo e mezzo più tardi, Chuck Palahniuk riproporrà l’analogo rapporto “alienato vs doppio” in Fight Club (1996), di cui circa un annetto fa è uscito il seguito illustrato da Cameron Steward. Il romanzo ha reso lo scrittore statunitense famoso in tutto il mondo anche grazie alla versione cinematografica con Brad Pitt e Edward Norton, considerato un vero e proprio film cult.
L’anonimo impiegato descritto da Palahniuk è costretto a rincorrere una nuova sorta di tabella dei ranghi, una scalata sociale dove le aspirazioni di un individuo sono soffocate dai ritmi frenetici della società dei consumi. Attraverso Tyler Durden, una sorta maestro/guru per il protagonista, Palahniuk mostra al lettore il fallimento del singolo, dell’anonimo nella società moderna. Un tracollo che assume connotazioni ancora più esistenziali se considerato il “bombardamento pubblicitario e mediatico” a cui ogni giorno siamo condannati.