La sedia, a servizio dell’umanità da millenni, è uno dei componenti più banali dell’arredo di qualsiasi interno. Le prime sedie, risalenti all’antico Egitto, presentavano una forma pressappoco identica a quella cui siamo abituati oggi: quattro gambe a supportare uno schienale ed una seduta. Malgrado correnti artistiche e innovazione tecnologica abbiano influito sui materiali utilizzati e decorazioni, la forma, basilare e perfettamente funzionale così come era stata concepita, non ha subito molte alterazioni.
D’altronde, cosa si sarebbe dovuto cambiare di una struttura perfettamente solida e funzionale? Però, che una cosa funzioni non implica che non la si possa reinventare in altri mille modi.
Infatti.
Bisognerà aspettare il ventesimo secolo perché si inizi a percepire cambiamenti nella tradizionale forma delle sedie: complice la tecnologia, moltissimi designer e artisti del Novecento hanno sperimentato, giungendo alla creazione di pouf, sedie pieghevoli, sedie di metallo, e chi più ne ha più ne metta.
Nel prolifico secolo scorso si colloca anche il danese Verner Panton, che ha contribuito non poco al panorama del design degli anni ‘60 e ‘70.
Spicca nel suo repertorio la S-Chair (i cui primi modelli sono conosciuti anche col nome di Panton Chair Classic), innovativo simbolo di rottura con il passato per più di una ragione.
Salta subito all’occhio che a questa sedia, dalla silhouette futuristica che la assimila più ad una scultura che ad un mobile, mancano le tradizionali quattro gambe. Infatti, la Panton Chair, prima nel suo genere, si regge su una struttura monolitica in plastica.
Il materiale di cui è fatta rappresenta un altro dei fattori che le permettono di spiccare e che le sono valsi lo status di pietra miliare nella storia contemporanea del design del mobile.
Prodotta in collaborazione con Vitra, la sedia è infatti stata lanciata sul mercato nel 1967, un’era che prediligeva il legno e ancora ignorava le potenzialità della plastica, che sarebbero state scoperte e sfruttate pienamente solo nei decenni successivi.
Malgrado i timori che una sedia nettamente diversa da quelle usuali potesse non essere accolta calorosamente dal pubblico, la Panton Chair non ha tardato a conquistare, oltre che al cuore di moltissimi acquirenti, numerosi premi internazionali al design e addirittura una posizione d’onore al MoMA di New York, dove adesso alloggia uno dei primi esemplari.
Se i primi modelli venivano prodotti in poliestere rinforzato con vetroresina, nei decenni successivi si è passati al polistirene termoplastico, che conferisce a questa sedia dalle linee eleganti e modellate secondo la figura umana una leggera flessibilità.
L’ispirazione per la Panton Chair, la cui forma la rende facilmente impilabile, sarebbe venuta a Panton osservando una pila di secchi di plastica. La composizione di un singolo pezzo la rende senz’altro pratica e versatile, un altro degli obiettivi di Verner Panton.
“Voglio disegnare mobili venire su, crescere dal pavimento. Voglio trasformarli in qualcosa di più naturale ed organico. Che non ha mai quattro gambe.”
Verner Panton
Questa sedia, definita di stile modernista, è entrata nel 2006 a far parte del Canone Culturale Danese, che annovera tra i suoi 108 pezzi eccellenze danesi nel campo delle arti visive, dell’architettura, del design e della musica. Tra numerosi tentativi d’imitazione ed una copertina di Vogue, non si può che ammettere che vi sia entrata a pieni diritti.